sabato, Dicembre 21, 2024

Cultura, Letteratura

Leggiamo Albert Camus

Scrittore e filosofo a 110 anni dalla nascita

di Cafe Arte/Ognyan Stamboliev

Albert Camus: “Quando arriva la guerra, è inutile e vergognoso isolarsi con il pretesto di non essere responsabili per essa!”

La Seconda Guerra mondiale segna lo spartiacque tra i due periodi della filosofia esistenzialista. Di fronte agli eventi storici, Albert Camus e i suoi fratelli di penna furono costretti a fare la loro scelta tra libertà e schiavitù.

Scegliendo la prima opzione, Camus non può fare a meno di riconsiderare le sue opinioni filosofiche, che lo porteranno inevitabilmente a un vicolo cieco. Per questo motivo cominciò a cercare una versione più umanistica dell’esistenzialismo: “Quando arriva la guerra, è inutile e vergognoso isolarsi con il pretesto che non ne sei responsabile!” In questo modo Camus confuta in una certa misura le sue precedenti idee sulla natura apolitica dell’arte.

Riflettendo sulla sua generazione, Camus scrisse che era “erede di una storia depravata in cui si mescolano rivoluzioni fallite, tecnologia impazzita, morti e ideologia debilitata… dove la ragione si è degradata al servizio dell’odio e dell’oppressione…”

La realtà moderna è senza dubbio terribile, ma Camus dubita profondamente che possa essere cambiata. “Continuo a pensare che questo mondo sia privo di significato. Ma so che qualcosa in lui ha un senso e questo, dopo tutto, è l’uomo. In definitiva, questo mondo si riduce alla rettitudine dell’uomo, ed è nostro compito proteggerlo dal… suo stesso destino.”

Il mondo, secondo Albert Camus, è fatto di solitari e la missione del Creatore è cercare di alleviare la loro sofferenza, aiutarli a uscire dall’oscurità. Verso la fine della sua vita si sofferma maggiormente sui temi della solitudine e della paura assurda con la “La caduta”.

La spinta dello scrittore a raggiungere il mondo è contrastata. Su entrambi i livelli – filosofico e sociale – i concetti di Albert Camus sfociano nella ribellione metafisica dell’individuo solitario. Dopo un incidente stradale nel fango di un fosso lungo la strada, vengono ritrovati nella sua borsa di cuoio il manoscritto incompiuto de “Il Primo Uomo”, tra il diario e un volume di Nietzsche…

Quando stava lavorando a “L’uomo ribelle” del 1950, Albert Camus disse che: “i geni malvagi dell’Europa portano i nomi dei filosofi: Hegel, Marx, Nietzsche… E siamo costretti a vivere in un’Europa creata da loro.” A quel tempo, il sistema stalinista aveva raggiunto il suo apogeo e l’insegnamento marxista era un’ideologia di Stato. In questo straordinario libro, l’autore de “Lo straniero” e “La peste” esamina la tragedia della filosofia trasformata in “profezia” e dell’ideologia che giustifica il terrore di Stato. La “profezia” ha una sua logica di sviluppo, diversa dalle intenzioni dei filosofi ribelli. Secondo Camus, né Marx né Nietzsche avrebbero approvato l’operato dei loro “discepoli”, ma dalle loro teorie nascevano nuovi Cesari, mentre la necessità dell’omicidio di massa non nasceva dall’etica di Kant o di Tolstoj, dalle teorie politiche di John Locke e Montesquieu.

Con ogni sistema ideologico sviluppato, la storia viene ripensata, tanto che non solo i pensatori moderni, ma anche quelli antichi possono diventare “precursori” e persino “militanti”. Tutto è una questione di interpretazione e di congiuntura politica. I regimi totalitari sono apparsi in Europa dopo la Prima guerra in Europa che, sappiamo, né Marx né Nietzsche hanno preparato.

I principi morali e politici della civiltà europea, finora decantati da Stefan Zweig, sono crollati nelle trincee della guerra, da lui giustificata nei parlamenti e nelle università, nelle chiese e nelle piazze. “Se non fosse stato per questa maledetta guerra – sosteneva Albert Camus “Adolf Hitler sarebbe rimasto un pittore sconosciuto, e solo gli storici del movimento operaio russo avrebbero saputo di Trotzsky e Stalin-Dzhugashvili”.

Albert Camus: “L’appello dello scrittore è unire le persone contro la dittatura del male!”

Albert Camus (1913-1960)
Foto: Nobel Foundation archive

Albert Camus (1913 – 1960) ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura il 10 dicembre 1957 per: “l’importanza delle sue opere letterarie, che pongono con penetrante serietà i problemi dei nostri giorni”. Albert Camus (1913 – 1960) ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura il 10 dicembre 1957 per: “… l’importanza delle sue opere letterarie, che pongono con penetrante serietà i problemi dei nostri giorni”. Lo ha ricevuto dopo Kipling in un momento in cui i nomi di Malraux, Sartre, Pasternak, Saint John Perce e Beckett brillano nell’Europa culturale. Ciò, ovviamente, ha causato polemiche nei media francesi. Le sue idee politiche, non gradite alla maggior parte degli intellettuali francesi, sono state severamente criticate. Lo stesso Camus affermò che il Premio sarebbe dovuto andare ad André Malraux.

Albert Camus scelse “il posto dello scrittore nella vita pubblica” come argomento del suo discorso a Stoccolma e Uppsala. Su questa questione importante per lui, ha condiviso i suoi pensieri in “The Rebel Man” (1951).

Nell’accettare il premio che la vostra libera Accademia mi ha generosamente elargito, provo un senso di immensa gratitudine e sono pienamente cosciente di quanto questa alta onorificenza superi i miei umili meriti personali. Ma ogni persona, soprattutto se è un creativo, aspira al riconoscimento. Questo vale anche per me.

Ma dopo aver appreso della tua decisione, ho involontariamente confrontato il suo significato con ciò che realmente rappresento. Chi è ancora abbastanza giovane e ricco solo dei suoi dubbi e non aveva ancora perfezionato le sue capacità di scrittura, proverebbe un senso di terrore all’annuncio di questa decisione, che lo ha posto sotto i riflettori accecanti della fama. E come accetterebbe questa alta onorificenza, visto che in Europa altri grandissimi scrittori sono condannati a restare sconosciuti? Sì, conoscevo quella paura del panico, quel tumulto interiore. E per ritrovare la tranquillità, ho dovuto confrontare la mia modesta personalità con questo immeritato dono del destino. E poiché mi è stato difficile eguagliare il premio, contando solo sui miei meriti, non ho trovato altro, se non per chiedere aiuto a ciò che durante tutta la mia vita finora, in varie circostanze, mi ha sostenuto e rafforzato, e cioè l’idea della mia opera letteraria e il ruolo dello scrittore nella società.

Permettetemi ora, pieno di sentimenti di gratitudine e amicizia, di spiegarlo al meglio delle mie capacità.

È un mezzo per suscitare i sentimenti di più persone, per donare loro un’immagine “eletta”, sublime, delle sofferenze e delle gioie quotidiane. Per questo non obbliga il creatore alla solitudine, lo sottopone alle prove più banali, gli offre verità universali. Succede che una persona scelga la sorte dell’artista perché si sente “scelto”, ma ben presto si convince che la sua arte trae forza da un’unica fonte: il riconoscimento dell’uguaglianza con gli altri. Il “creatore” si crea e si rafforza proprio in questo continuo errare tra sé e gli altri, sulla via della bellezza e della comunicazione umana, senza la quale non può. Ecco perché il vero creatore è estraneo al disprezzo altezzoso: rispetta gli altri e non li giudica. E se deve schierarsi dalla parte di qualcuno, sceglie la parte della società, che secondo la grande frase di Nietzsche “Regnare non è dato al Fato, ma al Creatore”. Per questo motivo il ruolo dello scrittore è inseparabile dai doveri e dalle preoccupazioni umane. Non dovrebbe essere il servitore di chi fa la storia, ma di chi la sopporta. Altrimenti rischia la solitudine e la scomunica dall’arte.

Solo il silenzio dello sconosciuto prigioniero, condannato all’umiliazione da qualche parte in capo al mondo, basta a liberare lo scrittore dai tormenti dell’isolamento. Ma nessuno di noi è abbastanza grande per questa chiamata. In tutte le circostanze della sua vita – sconosciuto o famoso, incatenato alle catene della tirannia o relativamente libero – lo scrittore deve essere solidale con il popolo.

Solo questo giustificherà la sua esistenza, ovviamente, se fa affidamento solo su se stesso e è al servizio della verità e della libertà. La vocazione dello scrittore è unire le persone contro la dittatura del Male. Non può contare sulla schiavitù e sulla menzogna che sono ovunque. Qualunque siano le sue debolezze personali, la nobiltà del mestiere si fonderà su questi due difficili doveri: nel rifiutarsi di mentire e nel resistere alla schiavitù.

“Per più di vent’anni io, gettato e inerme – come tutti i miei coetanei – nel folle vortice del tempo, ho conservato in me una vaga sensazione che la professione di scrittore oggi sia onorevole, che questa occupazione obblighi non solo a scrivere. Noi nati alla fine della Prima Guerra mondiale compiamo vent’anni nel momento in cui Hitler prende il potere e inizia l’incubo della Guerra Civile Spagnola e poi della Seconda Guerra Mondiale, con l’inferno dei campi di concentramento. Oggi dobbiamo educare i nostri figli e creare valori in un mondo minacciato da nuove guerre. Quindi non penso che si possa chiederci di essere ottimisti. Sono addirittura dell’opinione che siamo obbligati a comprendere – ovviamente senza smettere di lottare – l’errore di coloro che non hanno resistito alla disperazione e sono caduti nell’abisso del nichilismo moderno. Ma resta il fatto che la maggior parte di noi – sia nella mia patria che in tutta Europa – abbia già rifiutato questo nichilismo e ha cercato un nuovo senso della vita. Dobbiamo padroneggiare l’arte di vivere in un momento di incertezza, sull’orlo di nuove tempeste mondiali. La nostra generazione credeva di essere chiamata a trasformare il mondo, infatti questo è ciò che ogni nuova generazione desidera. Ma purtroppo non siamo riusciti a fare qualcosa di grande nonostante il nostro desiderio. Eppure abbiamo lottato per la verità e la libertà. Quindi penso che questa generazione meriti di essere lodata, soprattutto dove si sacrifica. È per questo motivo che desidero reindirizzare gli onori che mi rendete oggi. Ed ora, dando il giusto merito al nobile mestiere dello scrittore, vorrei anche definire il suo vero posto nella vita pubblica, benché non possieda altri titoli e dignità se non quelli che condivide con i suoi compagni di penna e di combattimento: indifeso, ma fermi, ingiusti ma innamorati della giustizia, dando vita alle loro creazioni senza vergogna ma anche senza orgoglio, davanti agli occhi di tutti, eternamente divisi tra sofferenza e bellezza,e, infine, chiamato a evocare dal profondo della doppia anima dell’artista immagini che egli lotta tenacemente e disperatamente per stabilire in mezzo all’uragano distruttivo della storia. Chi allora oserebbe chiedergli soluzioni già pronte? La verità è una cosa misteriosa, sfugge continuamente, deve essere conquistata ancora e ancora. La libertà è pericolosa: possederla è difficile. Dobbiamo tendere a questi due obiettivi, anche se con maggiore impegno, ma andare avanti con risolutezza, anche se sappiamo quanti fallimenti e cadute ci aspettano su questo sentiero spinoso. Quanto a me, non rinuncerei mai alla luce, alla gioia di essere, alla vita libera.

E sebbene il perseguimento di tutto questo sia stato la causa dei miei errori e delle mie delusioni, in realtà mi ha aiutato a padroneggiare il mio mestiere, e mi aiuta ora, e mi spinge istintivamente a tenermi stretto a tutti i condannati al silenzio e al mutismo, che offrire la propria vita solo grazie a ricordi o brevi, inaspettati momenti di felicità.E così, avendo definito la mia vera natura, i miei limiti, i miei debiti, e anche il simbolo della mia difficile fede, sento quanto mi sento più a mio agio adesso. In conclusione, voglio ringraziarti per la vostra immensa generosità, per l’onorificenza che mi avete conferito. E in segno della mia gratitudine, prestare qui un giuramento di fedeltà, che il vero creatore quotidianamente si presta silenziosamente, nella sua anima.” (dal discorso per il Premio Nobel per la Letteratura nel 1957).

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Sabato, 28 settembre 2024 – Anno IV – n°39/2024

In copertina: Albert Camus all’assegnazione del Premio Nobel – Foto: Jan Ehnemark


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