La pandemia smentisce il premier Modi
di Simona Vittorini
Lo scorso gennaio, al Forum Economico Mondiale di Davos il Primo ministro Indiano, Narendra Modi, vantandosi, aveva dichiarato vittoria contro il corona virus. Pochi mesi dopo, il secondo Paese più popoloso del mondo è caduto vittima di una seconda, devastante, ondata pandemica e ha dovuto invece implorare aiuto dalla comunità internazionale.
Negli ospedali, mancano i posti letto, ossigeno, e cure. Secondo l’ultimo bollettino pandemico, l’India ha segnato il record negativo di 3.498 morti in 24 ore, raggiungendo un totale di oltre 200mila morti e quasi 400mila (386.452) nuovi contagi.
Come si può spiegare questa ecatombe in un Paese che si era autoproclamato la farmacia del mondo? Certamente i tassi più elevati di infezioni e decessi in India di questa seconda ondata si possono fare risalire a una nuova variante estremamente insidiosa – conosciuta come B.1.617 – che sembra essere più infettiva e trasmissibile delle precedenti, anche tra le fasce d’età più basse della popolazione.
Ma è stata anche l’incompetenza, la compiacenza e l’arroganza del governo indiano che hanno portato il Paese a questa enorme tragedia. A febbraio il nuovo bilancio dello Stato prometteva – in un’esuberanza post-pandemica – una crescita economica addirittura a due cifre.
L’imposizione di un altro blocco nazionale con la chiusura inevitabile delle attività commerciali, avrebbe provocato un’altra ricaduta economica come era successo l’anno scorso durante il primo lockdown quando si era registrato un calo del 7.3%. E così, quando ai primi di marzo, i segni di una seconda ondata erano ormai sotto gli occhi di tutti, i ristoranti sono rimasti aperti, le sale cinematografiche hanno ripreso a funzionare a piena capacità, e matrimoni e altri grandi raduni sono andati avanti come sempre. E le mascherine sono diventate, in molti casi, una cosa del passato.
L’interesse politico ha poi prevalso sul buonsenso. La Commissione Elettorale indiana ha lasciato che si svolgessero elezioni in quattro stati: West Bengal, Assam, Kerala e Tamil Nadu. In West Bengala, la campagna elettorale è stata una delle più lunghe della storia democratica dell’India.
Massicce manifestazioni e comizi elettorali si sono svolti in tutto il Paese dove la gente era ammassata gomito a gomito senza mantenere nessun distanziamento. “Il più grande raduno che io abbia mai visto”- aveva commentato il Primo Ministro Modi, a volto scoperto, ad una folla giubilante (in gran parte senza mascherine) solo un paio di settimane fa nello Stato del Bengala occidentale dove il tasso di infezione è ora di diverse volte superiore alla media nazionale.
Le autorità avevano inoltre consentito che il Maha Kumbh Mela, una ricorrenza religiosa Hindu, durante la quale milioni di fedeli e pellegrini si riversano sulle rive del sacro Gange per un bagno rituale purificatore, si svolgesse quest’anno con un anno in anticipo. Anche quando era ormai risultato evidente che questo evento sarebbe diventato un moltiplicatore di casi Covid, il partito ultranazionalista del premier Modi, non aveva sospeso la manifestazione.
Il governo di Modi ha anche mostrato compiacenza nel non essere in grado anticipare il potenziale impatto di una nuova ondata in un Paese sovrappopolato in cui è impossibile mantenere il distanziamento sociale e dove il sistema sanitario pubblico è cronicamente sotto finanziato (l’India spende solo 1.25% del suo PIL per la sanità) e la cui competenza spetta non a Delhi ma ai vari Stati dell’Unione. E se questo sistema precario e disomogeneo, è solo in parte compensato dalla presenza di strutture sanitare private con un medico per 10 mila abitanti, è evidente che nelle vaste campagne indiane la sanità primaria è estremamente carente e incapace di affrontare questa seconda ondata che adesso, inevitabilmente, migrerà dalle città alle zone rurali.
L’avanzata del virus è stata inoltre assistita da una politica vaccinale non adeguata. Mettendo in mostra lo storico orgoglio nazionalista, l’India, desiderosa di promuovere la prodezza scientifica indiana, aveva sviluppato il proprio vaccino (Covaxin) invece di acquistare quelli fatti all’estero. All’inizio dell’anno, New Delhi si era poi lanciata nella diplomazia del vaccino, esportando il 35% delle dosi che aveva a sua disposizione. La campagna vaccinale, una delle più imponenti e complesse al mondo, procede a rilento. Fino adesso, sebbene ogni giorno circa 3 milioni di persone vengano vaccinate, meno del 10% della popolazione ha ricevuto la prima dose di vaccino. Il primo maggio avrebbe dovuto iniziare la vaccinazione per tutti i maggiorenni. Più di 24 milioni di persone si sono registrate sulla piattaforma digitale Co-WIN, ma le dosi non ci sono e le vaccinazioni sono slittate ormai a chissà quando.
Per quanto riguarda Modi, questa tragedia potrebbe rivelarsi la sua rovina. Solo lo scorso febbraio, i sondaggi di opinione confermavano l’enorme popolarità del primo ministro indiano tra gli elettori. La prima ondata di Covid e il primo lockdown (uno dei più duri al mondo) aveva colpito principalmente i più poveri. Il ceto medio e le élites (in gran parte ardenti e fedeli sostenitori di Modi) avevano continuato a vivere la loro vita privilegiata.
Ma questa seconda ondata pandemica ha colpito in pieno anche loro. Neanche i privilegi di classe (accesso a cliniche e cure private, i legami con i potenti) sono più sufficienti a proteggerli dal dolore e la sofferenza di cercare un letto in una clinica, una bombola di ossigeno, e le medicine per se stessi e per i loro cari. Il Covid non fa distinzioni di classe.
In questi giorni, in molti attendono con ansia il 2 maggio, quando verranno annunciati i risultati delle elezioni regionali. È molto probabile che queste elezioni non rifletteranno l’impatto della pandemia e che Modi finisca per non pagare il prezzo di questa tragedia. In gran parte dei casi, gli elettori avevano votato prima che questa seconda ondata si abbattesse, violentemente, sul Paese. Gli exit polls usciti ieri, infatti sembrano indicare un avanzamento decisivo del Bharatiya Janata Party, il partito del Premier Modi, specialmente in alcuni Stati chiave come il West Bengala, probabilmente anche a causa della mancanza di una vera opposizione.
Nonostante ciò, segni che gli indiani stiano finalmente voltando le spalle a Modi cominciano ad essere visibili.
L’indignazione pubblica è sicuramente in crescita e diretta sempre di più verso il governo e dunque Modi. Ieri l’hashtag #ModiMustResign era di tendenza su Twitter.
Per un premier che ha fatto della personalizzazione della politica il suo stile di governo, una perdita di credibilità a livello nazionale potrebbe finire per scalfire la sua popolarità.
Sabato, 1 maggio 2021 – n°14/2021
In copertina: balneazioni nel Gange, fiume sacro agli Hindu – Foto Ron James/Pixabay