I bambini vittime innocenti dei conflitti bellici
di Laura Sestini
Nota della giornalista: Qualche anno fa mi sono recata in Iraq, per curiosità verso un Paese che sembrava lontanissimo dalla realtà italiana, e per fare ricerca su un argomento che mi interessava per uno studio. Arrivata sul posto entrai in contatto con numerosi giovani tra i 20 e i 30 anni, con qualcuno dei quali ho potuto intraprendere qualche conversazione meno superficiale e di circostanza. Mosul non era ancora stata liberata dal Califfato Islamico e numerose persone erano evacuate nei campi profughi locali, principalmente in Kurdistan iracheno, dove arrivavano a migliaia anche dalla Siria.
Entrai in empatia con un giovane di 29 anni che, oltre a essere un Idp (Internal displaced person), ovvero un profugo interno, era anche di credo cristiano caldeo, una peculiarità da non mettere troppo in evidenza nel contesto islamista fondamentalista di quei giorni. Tra i discorsi che intessemmo – non solo con lui – gli chiesi come si potesse vivere sempre in guerra, pensiero che mi destava molta preoccupazione nei confronti delle persone che incontravo. Una ragazza di Baghdad – anche potenziale vittima dei numerosi attentati che prendono di mira la capitale irachena – rispose che se si vuole continuare a fare una vita accettabilmente normale, con le dovute precauzioni, è obbligatorio mantenere le proprie attività principali (era studentessa universitaria), mentre il giovane cristiano pensò di rincuorarmi asserendo di aver già visto e vissuto almeno tre conflitti (durati anni – aggiungo io).
Secondo il report della Ong Save the Children, La guerra ai bambini, erano circa 150 milioni i minori che vivevano in zone di guerra nel 2018, mentre oltre 12 mila risultavano, quell’anno, i morti e i feriti sotto i 18 anni. Nel 2020, a causa anche del diffondersi della pandemia, le violazioni nei confronti dei bambini sono aumentate del 170%.
Attualmente risultano, quindi, circa 415 milioni i bambini al mondo (1 su 5) che vivono in aree di conflitti interni o tra Stati, mentre circa il 30% di questi risiedono entro aree di conflitti ad alta densità.
Il continente africano è quello dove troviamo il maggior numero di violazioni sui bambini – circa 170 milioni – mentre il Medio Oriente ha la più alta percentuale di vittime rispetto alla popolazione minorenne (1 su 3).
Un rapporto della Commissione delle Nazioni Unite, che monitora la guerra siriana, riporta che a cavallo tra febbraio e marzo 2020: “Le vite dei bambini, nella Repubblica araba siriana, sono state segnate dalla brutalità della guerra. Contrariamente al principio dell’interesse superiore del bambino, in tutto il Paese, ragazze e ragazzi sono stati vittimizzati in numerosi modi, continuamente privati del rispetto e della protezione speciale a cui hanno diritto in base al diritto internazionale umanitario e ai diritti umani”.
Sul medesimo rapporto, in particolare, si citano i campi profughi di al-Hol e Rukban, dove i bambini sono decine di migliaia, di cui molti orfani o non accompagnati. In questi contesti i bambini sono particolarmente vulnerabili poiché hanno un accesso marginale al cibo, all’acqua pulita, alle cure mediche e all’istruzione e soffrono, quindi, di malnutrizione e malattie infettive. Al campo di al-Hol, dove risiedono circa 70 mila persone, si conoscono anche molti casi di violenza fisica, verso adulti e minori.
A proposito dei profughi siriani, a gennaio 2021, in Turchia ne risultano oltre 3,6 milioni, di cui 1,7 – ovvero il 47,5% – in età inferiore ai 18 anni. Oltre a questi dati ufficiali rilasciati dall’Osservatorio dei Diritti Umani di Istanbul (İHD), risultano circa 400 mila profughi di altre nazionalità, e si stima in oltre un milione di persone quelle che vivono in clandestinità. La media dei minori è, in generale, sempre piuttosto alta in ogni contesto migratorio.
Con l’aumentare delle violenze nei contesti di conflitto armato, una delle prime privazioni subite dai bambini è l’accesso all’istruzione. Le scuole vengono chiuse e, spesso, trasformate in centri-rifugio per sfollati. A questo si aggiungono le difficoltà per accedere ai presidi sanitari o agli ospedali, che sempre più spesso – in barba alle Convenzioni Internazionali – sono colpiti come se fossero presidi militari invece che luoghi di soccorso ai civili feriti o malati.
In Afghanistan, nonostante ci sia un lieve calo, nel 2020 le vittime minori sono state circa 1.900, a causa del conflitto interno. Le Nazioni Unite in Afghanistan hanno documentato il totale dei civili, vittime degli attacchi dei talebani – tra gennaio e settembre 2020 – in 5.939, di cui 1.848 (553 uccisi e 1.295 feriti), ossia quasi un terzo di tutte le vittime, erano bambini.
Henrietta Fore – direttrice generale dell’Unicef – dichiara che per i Paesi che si trovano ad affrontare le conseguenze di conflitti, disastri e cambiamenti climatici, il Covid-19 ha trasformato la crisi alimentare già presente in una catastrofe. Le stime prevedono che oltre 3 milioni di bambini sotto i 5 anni soffriranno di forte malnutrizione nella Repubblica Democratica del Congo nel 2021 – di questi, almeno 1 milione con malnutrizione acuta grave. Lo stesso accadrà per un milione di bambini in Nigeria, mentre nel Sud Sudan quasi 7,3 milioni di persone (il 60% della popolazione), nel 2021, dovrà affrontare una grave insicurezza alimentare – situazione, quest’ultima, peggiorata del 167% in Burkina Faso negli ultimi cinque anni, e di circa il 40% in Mali e Niger.
La guerra in Yemen – tra embarghi e povertà – ha generato oltre 2 milioni di bambini sotto i cinque anni gravemente malnutriti, di cui quasi 358.000 con malnutrizione acuta grave – un numero previsto in aumento.
Accedere ai dati nei contesti di conflitto armato incontra molte limitazioni ma ci sono tendenze chiare per le verifiche effettuate dalle Nazioni Unite, ovvero che i casi di morte o mutilazione di bambini e minori è aumentato del 300% dal 2010, mentre si constatata anche una costante crescita dei rapimenti. I minori, inoltre, sono sempre più utilizzati in tattiche belliche estremamente brutali, come per gli attentati suicidi o divenendo target specifici negli edifici scolastici o essendo colpiti da munizioni sempre più sofisticate, come le bombe a grappolo.
Tra i pericoli più comuni per i bambini troviamo gli Ied – Improvised Explosive Device – ordigni artigianali mimetizzati in oggetti di uso quotidiano, quali lattine, giocattoli, pentolini, che incuriosiscono i più piccoli. È tristemente noto come i miliziani dell’Isis si lasciassero dietro sciami di mine antiuomo, o Ied, per rallentare i movimenti di chi ne contrastava le attività di invasione. È questa, probabilmente, anche una ‘tradizione’ bellica irachena, raccontata magistralmente in Turtles can fly – film del regista curdo iraniano Bahman Ghobadi, ambientato negli anni dell’invasione statunitense dell’Iraq e della dittatura di Saddam Hussein.
Tra i minori nei contesti bellici, le ragazze sono i soggetti più esposti al rischio: oltre ad avere le stesse possibilità di essere colpite da proiettili, bombe o esplosioni, subiscono violenze sessuali e matrimoni precoci forzati, rapimenti a scopo di lucro, sono oggetto di scambio tra differenti clan in collisione, o schiave del sesso – come è accaduto a migliaia di minori Yazide per mano dei miliziani del Califfato Islamico. Al contrario, il rischio maggiore che corrono i bambini maschi è quello di essere rapiti e reclutati nelle forze dalle milizie armate – trasversalmente in tutti i conflitti africani e mediorientali – oltre a essere potenziali schiavi al servizio di famiglie abbienti.
Gli impatti psicologici dello stress tossico sui bambini che vivono in contesti bellici – sostiene Save the Children – sono profondi e possono portare a un circolo vizioso di conflitto, in cui le future generazioni dovranno lottare per ricostruire società pacifiche dopo i traumi della violenza. Studi recenti hanno mostrato alti livelli di stress nei bambini che hanno vissuto o sono fuggiti da zone di guerra, che possono avere un impatto permanente sulla loro salute mentale e lo sviluppo.
Secondo il Comitato Internazionale di Croce Rossa (CICR), “sempre più ostilità nei conflitti armati si svolgono nei centri abitati”. Oggi, per i bambini, case, scuole e parchi giochi sono diventati campi di battaglia in molti Paesi, dalla Siria all’Afghanistan, dal Sudan alla Nigeria, mentre le guerre convenzionali sono inversamente proporzionali all’aumento degli attori in campo.
Il 2020 ha portato con sé la pandemia da Covid -19, un conflitto silenzioso a cui milioni di bambini hanno dovuto sottostare – anche nei Paesi più sviluppati – per le restrizioni anti-contagio. Niente scuola, niente giochi di società, pochi rapporti con i coetanei. Quali saranno le conseguenze che si rifletteranno sulla loro crescita?
Sabato, 30 gennaio 2021 – n° 1/2021
In copertina: un minore mutilato di guerra. Immagine gentilmente concessa dal fotografo ©Rebaz_Majeed (tutti i diritti riservati).