domenica, Dicembre 22, 2024

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L’Iraq al voto politico

Le proteste giovanili del 2019 hanno aperto una via di uscita?

di Laura Sestini

Nell’ottobre del 2019, a Baghdad – la capitale irachena – un’imponente mobilitazione popolare di giovani e studenti si mosse verso piazza Tahrir – a cui si unirono per la prima volta le ragazze, trasversalmente a credo religioso e ceto sociale. Le manifestazioni, in breve tempo occuparono altre piazze di numerose città meridionali dell’Iraq ed anche i giovani curdi della Regione Autonoma entrarono in agitazione qualche tempo dopo, seppur i Governi siano differenti.

I giovani chiedevano a gran voce un futuro democratico, la fine delle divisioni settarie, politiche giovanili per il lavoro, la cui disoccupazione arriva al 35%, un rinnovo politico, sociale e anche sanitario, per il quale la popolazione era già scesa in piazza l’anno precedente.

Le centinaia di migliaia di ragazzi scesi a manifestare si contrapposero alle violenze delle forze dell’ordine – inviate massicciamente dal Governo in carica – fino allo scoccare della pandemia e relativi lockdown a marzo 2020. Quando arrivò il divieto a manifestare, sul campo di battaglia c’erano già circa 700 vittime, 18 mila feriti, migliaia di arresti e innumerevoli sparizioni di attivisti politici e per i diritti umani, di cui per molti non si conoscono più le sorti. Tra gli arrestati, anche Salman Khairalla, un giovane ecologista di nostra conoscenza ed un suo collega di lavoro nel progetto di tutela delle paludi di acqua dolce irachene patrimonio dell’Unesco, di cui per una settimana non si ebbero più notizie. Fortunatamente entrambi uscirono illesi dalle patrie galere irachene.

Nonostante i divieti a causa del virus, al primo anniversario della ‘rivoluzione giovanile’, nel 2020, i ragazzi tornarono in piazza Tahrir per chiedere i nomi degli assassini delle centinaia di vittime cadute durante le lunghe giornate delle passate manifestazioni, molte delle quali per mano di milizie sciite che scorribandano nel Paese.

Ma quali effetti hanno avuto le mobilitazioni popolari, costate così tante vite umane? Cosa hanno ottenuto i manifestanti? Nel breve periodo ci fu un rimpasto di governo e un nuovo Primo Ministro – l’attuale Mustafa al-Kadhimi, ex- Ministro degli Esteri – nominato il 7 maggio 2020 a causa delle dimissioni di Adel Abdel Mahdi.  A più lungo termine sono state indette le elezioni politiche nazionali – slittate al 10 ottobre 2021.

A lato di questo, che ha fatto ben sperare in un cambio di direzione, gli attivisti continuano ad essere rastrellati da veri e propri squadroni della morte – milizie appartenenti a gruppi politici conservatori ed islamisti. Difatti nelle nuove contestazioni lo slogan principale è diventato “Who killed me?” per la campagna lanciata dalla famiglia dell’attivista Ehab al-Wazni, membro del coordinamento delle manifestazioni di piazza Tahrir, ucciso da milizie filoiraniane a Kerbala il 9 maggio 2020. Negli ultimi anni sono decine gli attivisti assassinati da mani invisibili – e in particolare modo dopo le manifestazioni del 2019, a cui non scampano neanche le donne.

Anche nel 2021, secondo anniversario di piazza Tahrir, molte persone sono tornate a manifestare. Questa è la volta – oltre a rifiutare il Governo e la corruzione – delle madri che chiedono giustizia per i figli uccisi o scomparsi.

A novembre 2020 c’è stata anche la ratifica di una nuova legge elettorale che darà spazio – almeno sulla carta – alle liste indipendenti e garantirà il 25% dei seggi alle donne.

Alla vigilia delle elezioni però, le liste dei partiti e gruppi politici vecchi e nuovi, registrati dalla commissione elettorale, contano decine di coalizioni, 267 partiti autorizzati e 3.523 candidati, di cui 1.002 presentati dalle coalizioni (dati aggiornati a luglio 2021). I partiti sono divisi in tre macro gruppi: curdi, sunniti e sciiti.

I leader del movimento di protesta hanno già annunciato che si tratterà come sempre di ‘elezioni farsa’ che serviranno ancora una volta a legittimare la classe politica al potere. Si attende quindi, in questo senso, un ampio boicottaggio delle urne da parte di attivisti e dissidenti e scettici.

Alcuni degli attivisti iracheni uccisi nel 2020

Sabato, 9 ottobre 2021 – n° 37/2021

In copertina: un corteo di protesta nel 2019 – Foto @Iraq_protests

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