La violenza non conosce età e le bande dei minorenni crescono
di Ettore Vittorini
A metà degli anni Cinquanta del 1900, vennero proiettati in Italia due film americani che descrivevano la violenza giovanile: uno dal titolo ‘Il seme della violenza‘ che aveva per protagonista Glenn Ford nelle vesti di un insegnante di una scuola pubblica di New York alle prese con i suoi allievi provenienti da quartieri poveri, appartenenti a pericolose bande giovanili, disadattati. L’altro ‘Gioventù bruciata‘ con James Dean nella parte di un ragazzo in disaccordo con i genitori benestanti, che deve affrontare la violenza gratuita dei suoi compagni di scuola. Il titolo in inglese – ‘Rebels whitout a cause‘, Ribelli senza motivo – è forse più efficace di quello italiano.
Quei due film ebbero molto successo in Italia e gli spettatori di allora restarono sconvolti dal tema della violenza tra i giovani americani. Il fenomeno made in USA era quasi inesistente da noi: quel poco di bullismo che si manifestava nelle scuole veniva subito represso e punito dai docenti con l’approvazione delle famiglie dei responsabili.
Oggi tutto è cambiato: prima di tutto la Scuola oltre a non essere più incisiva nella formazione degli allievi, interviene raramente sui casi di bullismo. I docenti non hanno autorevolezza e sono sfiduciati dai bassi stipendi. Invece spesso i genitori intervengono duramente in difesa dei propri figli anche aggredendo materialmente gli insegnanti che “osano” prendere provvedimenti punitivi.
E ancor più grave che la Scuola non riesca a intervenire positivamente su tutti i suoi allievi. Ed è allarmante che ogni anno 120mila studenti abbandonino gli studi nelle classi dell’obbligo e delle superiori. E’ un allarme che resta inascoltato tanto più che l’Italia è quarta in Europa nella classifica degli abbandoni scolastici.
Il Ministero scarica la colpa di questo fenomeno alle famiglie e soprattutto a quelle più povere, incapaci – secondo gli addetti ai lavori – di seguire i propri figli. In realtà l’abbandono colpisce quasi tutte le classi sociali tranne quelle più privilegiate. La nostra è ancora una scuola classista che allontana i ragazzi più poveri o con genitori che non li seguono. Gli allievi “svogliati” vengono abbandonati a sé stessi, ma se appartengono a famiglie che possono permettersi le lezioni private, possono continuare a seguire gli studi. Per l’insegnamento extrascolastico vengono spesi ogni anno milioni di Euro esentasse. Il “seme della violenza” tra i giovani deriva in gran parte dall’abbandono delle famiglie e della Scuola.
Ormai la violenza gratuita – occasionale o premeditata – appartiene alla consuetudine e proviene da tutte le generazioni e da ogni strato sociale, macchiandosi molto spesso di omicidi. I femminicidi appartengono alla cronaca quotidiana; si aggiungono le sparatorie per “futili motivi”; le risse e gli accoltellamenti tra bande giovanili; le aggressioni immotivate a persone considerate “diverse”, classificate con la sigla LGBT ; le uccisioni per “legittima difesa” e tanto altro.
Se a tutta questa violenza – chiamiamola tra persone normali – si aggiungono i delitti per mafia che dal Dopoguerra hanno insanguinato il Paese, viene da chiedersi se abbiamo raggiunto i livelli criminali del Messico e di altri Paesi del continente americano.
Siamo sulla buona strada o, meglio, cattiva: oggi in Italia si uccide con facilità. Possiamo partire dal caso più recente di Vincenzo Palumbo, di professione camionista, che la scorsa settimana ha assassinato a colpi di pistola due ragazzi che per caso avevano parcheggiato la loro auto davanti alla sua casa, ad Ercolano. Ha sparato ben 11 volte mentre le vittime erano all’interno della vettura. Si è giustificato affermando di essere stato svegliato dall’allarme antifurto e dopo aver preso l’arma dal comodino, è uscito sul terrazzo per far fuoco sui due giovani che secondo lui sarebbero stati dei malviventi. Come si può commentare un simile episodio?
Un altro delitto è stato compiuto lo stesso giorno a Barletta dove un giovane è morto accoltellato dopo una lite con due coetanei, scoppiata in un bar nella zona della movida per banali motivi. E’ stato inseguito dai due e colpito a morte con un coltello preso dal bancone del locale.
Sono tanti i giovani e i ragazzini che aggrediscono, picchiano, ammazzano spesso alterati dal clima della movida, dall’uso estremo di alcolici e di stupefacenti. Di fronte a questa violenza nasce l’interrogativo sulle famiglie: che cosa fanno i genitori di questi ragazzi? Si saranno mai chiesti come si comportano i propri figli nelle lunghe nottate della movida e da dove prendono il denaro per gli alcolici e altro?
Ma la violenza colpisce anche fuori dai locali notturni: a Fiesole, in provincia di Firenze, dopo una partita di calcio della categoria juniores tra la squadra del paese e quella della Rondinella Marzocco, i tifosi locali hanno aggredito con bastoni i calciatori avversari ferendone gravemente alcuni. A questo proposito ricordo che alcuni anni fa mi era capitato di assistere a una partita di calcio tra juniores. Tra il pubblico erano presenti i genitori e altri familiari e amici dei ragazzi, poche decine di persone. Eppure il baccano che facevano – condito con ingiurie, minacce verso i rispettivi avversari e il povero arbitro – era da paragonare ai derby di serie A. Padri, madri e nonni dei calciatori incitavano i loro ragazzi a essere violenti, a dare calci negli stinchi degli avversari, a spintonarli. Questo vecchio episodio spiega in parte quanto è accaduto a Fiesole e che ormai fa parte della consuetudine. Genitori che si comportano peggio dei figli trasmettendo loro le proprie frustrazioni e quell’aggressività che resterà nelle menti dei minori forse per sempre, a meno che non intervengano fattori positivi esterni, come la Scuola e maggiori controlli da parte delle forze di polizia.
Sabato, 6 novembre – n° 41/2021
In copertina: foto di Gerd Altaman/Pixabay