giovedì, Dicembre 26, 2024

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L’Onu spinge la Libia alle elezioni presidenziali

Situazione politica instabile e pronta ad infuocarsi

di Laura Sestini

A poco più di un mese dalla data fissata per le elezioni presidenziali libiche del 24 dicembre, la situazione politica del Paese maghrebino è sempre più confusa e nervosa per i precari equilibri interni dei sostenitori degli stessi candidati, sia delle numerose milizie che ancora vagano nei due estremi regionali – Cirenaica e Tripolitania – che attendono comandi e si sgomitano tra loro per gli spazi di potere.

Il 12 novembre si è riunita la Conferenza internazionale di Parigi sulla Libia, tenutasi alla Maison de la Chimie, un centro congressi nei pressi dell’Eliseo, per fare il punto della situazione sui i punti fermi fondamentali ‘imposti’ dalle Nazione Unite, su cui dovrebbero basarsi i presupposti per le prossime elezioni ed il futuro a medio-lungo termine del Paese. La conferenza è stata convocata da Emmanuel Macron e co-presieduta da Francia, Germania, Italia e Libia.

Alla conferenza era presente anche il Presidente del Consiglio – Mario Draghi – che ha ribadito l’importanza, tra le altre cose, della legge elettorale che il Congresso parlamentare libico sta ancora discutendo, il cessate il fuoco, la sicurezza e la questione dei diritti umani legata ai migranti ed agli sbarchi in Europa.

La nuova legge elettorale libica è al centro dell’attenzione politica ed ancora in discussione, di importanza cruciale per le prossime elezioni presidenziali, a cui seguiranno a breve tempo anche le politiche. Il Paese non è avvezzo alle transizioni democratiche, nonostante le tornate elettorali imposte dal 2011 ad oggi dall’ONU, e l’attuale scrittura di detta legge è uno scoglio ancora da conquistare, con molte lacune e vuoti da colmare.

La Conferenza di Parigi – compattamente – ha confermato l’esigenza di mantenere la data delle elezioni del 24 dicembre e spinge il Parlamento libico ad affrettarsi a stringere i tempi per votazione definitiva della legge elettorale e i numerosi emendamenti.

Secondo Jalel Harchaoui – uno dei massimi esperti di politica libica – l’appuntamento delle elezioni è probabilmente destinato, al contrario di quanto è stato asserito nella Conferenza di Parigi, a saltare tale data, poiché la questionata legge elettorale al momento non dà nessuna garanzia di cosa succederà in seguito, sia per quanto riguarda la seconda sessione delle votazioni presidenziali, circa due mesi dopo la prima, sia le necessarie elezioni legislative. Ancora niente di tangibile che legalmente fissi dei punti nel futuro perché si segua un percorso tracciato, definito.

Nel frattempo i candidati alla presidenza libica aumentano di numero, per un totale di oltre 90. Tra l’approvazione della candidatura di Seif al-Islam Gheddafi, figlio del fu Muhammar Gheddafi, e le numerose smentite, anche l’attuale Primo ministro del Governo ad interim di Unità Nazionale di transizione Abdul Hamid Mohammed Dbeibah attende di capire se può rientrare nella rosa dei nomi candidabili, a causa di una norma che prevede che i concorrenti non abbiano cariche politiche da almeno tre mesi. Nel frattempo si ‘autotutela’ facendo comparire al suo posto il vice Hussein Atiyah Abdul Hafeez Al-Qatrani.

Il 6 novembre il Consiglio presidenziale libico aveva sospeso dalle funzioni di Ministra degli Esteri Najla al-Mangoush per con l’accusa di ‘violazioni amministrative’ per avere dichiarato di essere disponile a collaborare con gli Stati Uniti per l’estradizione di un ex-ufficiale dei servizi segreti libici accusato di essere responsabile dell’attentato aereo avvenuto a Lockerbie – in Scozia – nel 1988. Mentre alcuni esponenti politici ritengono che la Ministra lavori contro gli interessi libici, il Premier Dbeibah ha riabilitato Najla al-Mangoush alle sue funzioni, rifiutando la decisione del Consiglio presidenziale.

Tra gli ultimi nomi inseriti nella lista dei candidati risultano l’ex-vicepremier libico Ahmed Maitig – del precedente Governo di Unità Nazionale di transizione guidato da al-Sarraj – e il generale Khalifa Haftar, uomo politico che ha guidato la Cirenaica nella guerra di potere contro la Tripolitania, ritiratosi dal comando militare appena dopo il ‘cessate il fuoco’ imposto dalle Nazioni Unite a febbraio scorso. A quest’ultimo è stato intimato di dismettere l’esercito di mercenari al suo fianco nel conflitto.

Uno dei punti focali per la pace e la sicurezza in Libia sono le milizie mercenarie straniere turche e russe, ma non da meno sono quelle interne. La questione dell’uscita dei mercenari dal territorio libico – immobilizzata dalla situazione politica, i quali referenti non si sbilanciano per non perdere il terreno conquistato almeno sulla carta – è uno dei punti fondamentali richiesti dalla missione Onu per la Libia (Unsmil) – prorogata fino a gennaio 2022. In entrambi i casi – Turchia e Russia – hanno costruito già da tempo il loro quartier generale in territorio libico. Durante il conflitto la Russia aveva affiancato il generale Haftar in Cirenaica, mentre la Turchia di Erdoğan aveva fatto gli occhi dolci al premier al-Sarraj quando l’esercito di Haftar era alle porte di Tripoli, ribaltando gli esiti della guerra (fino all’imposizione della tregua) attraverso le migliaia di mercenari islamisti trasferiti dalla Siria.

Con queste premesse, e tutti i candidati dai nomi altisonanti, il dopo elezioni – se non slitteranno – è prevedibile come molto movimentato, se non nuovamente infuocato. Dietro le quinte di ogni candidato ci sono coalizioni tribali – di cui alcune armate – che non facilmente accetteranno la vittoria della fazione opposta, in particolar modo se la legge elettorale non potrà poggiare su basi certe – puntuali e scritte – invece che su aleatorie, vaghe e rischiose garanzie non contemplate fin da subito.

A rendere ancora meno credibile tutta la situazione, a sorpresa, il 23 novembre, si è dimesso l’inviato speciale Onu per la Libia, il diplomatico slovacco Jan Kubis, eletto in carica ‘di emergenza’ a gennaio 2021, dopo che Ghassan Salamé – precedente incaricato – aveva rassegnato le dimissioni a marzo 2020, temporaneamente sostituito dalla Capo missione Stephanie Turco Williams. La carica era stata rifiutata anche dal diplomatico bulgaro Nickolay Mladeno per ‘motivi familiari’ giungendo quindi – dopo 10 mesi – al conferimento dell’incarico a Kubis. Lo riferiscono fonti diplomatiche delle Nazioni Unite, ma non è stata divulgata alcuna motivazione ufficiale. (Aggiornamento al 23/11/2021)

Saif al-Islam Gaddafi, figlio del defunto Rais libico Mu’ammar, è stato riammesso alla corsa per le elezioni presidenziali del 24 dicembre dopo che la Corte di Sabha – la ex capitale storica del Fezzan, regione sua roccaforte – ha accolto oggi il ricorso annullandone l’esclusione decisa dall’Alta Commissione Elettorale lo scorso 24 novembre. Manifestazioni popolari hanno avuto luogo in città per celebrare la candidatura. Nel mentre la Corte Marziale di Misurata, ha condannato a morte l’ex generale Khalifa Haftar ed altri ufficiali, per legami con l’attentato all’Air Defense College situato in città, ed il figlio di Haftar – con le sue milizie – aveva intimidito i giudici che dovevano esprimersi per la riammissione di Saif al-Gaddafi alla candidatura. A soli 20 giorni dalle elezioni presidenziali l’atmosfera politica del Paese si fa sempre più calda e inquieta. (Aggiornamento al 2/12/2021)

Sull’argomento:

https://www.theblackcoffee.eu/il-ritorno-politico-di-seif-al-islam-gheddafi/

https://www.theblackcoffee.eu/cronache-libiche-durera-la-tregua/

https://www.theblackcoffee.eu/turchia-libia-un-ponte-armato-sul-mediterraneo/

Sabato, 20 novembre 2021 – n° 43/2021

In copertina: la ministra degli Esteri libica Najla Mangoush con Luciana Lamorgese – Foto: Michele Ciavarella – gov.it – licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

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