lunedì, Dicembre 23, 2024

Cultura, Teatro & Spettacolo

L’Orfeo di Claudio Monteverdi compie 380 anni

Dalle pastorali all’operistica, compositore contemporaneo di Shakespeare

di CafeArte – traduzione di Katya Libyahovska

“Monteverdi difende i diritti dei sentimenti e della libertà nella musica. Nonostante le proteste dei difensori delle regole, spezza le catene in cui è impigliata la musica e vuole che segua solo i dettami del cuore…” Romain Rolland.

Oggi, a 380 anni dalla sua morte, si può affermare con certezza che l’opera di Monteverdi è uno dei fenomeni unici nella cultura musicale del XVII secolo. Nel suo interesse per l’uomo, nelle sue passioni e sofferenze, Monteverdi è un vero artista del tardo Rinascimento. Allo stesso tempo, era in anticipo sui tempi nella musica. Potremmo dire, uno Shakespeare dell’opera. Nessuno dei suoi contemporanei è riuscito ad esprimere come lui il sentimento tragico della vita, ad avvicinarsi alla comprensione della sua verità, a rivelare in tal modo il primato dei caratteri umani, dei desideri, delle sofferenze e delle passioni. È chiamato il “padre dell’opera”, perché adesso per la prima volta, con lui, è un vero teatro musicale – dramma per musica.

Claudio Monteverdi nacque nel 1567 a Cremona – la città dei liutai – nella famiglia di un medico. Era maggiore di cinque fratelli, e scompare nel 1643. Il suo maestro Marco Antonio Ingegneri (1545-1592) gli trasmise tutto il suo sapere: l’arte sottile e difficile di dirigere la voce cantata, la scienza della prosodia, i canoni dell’armonia di Palestrina, nonché la polifonia di Orlando di Lasso. Nel 1580, il tredicenne Claudio pubblicava già i primi album delle sue opere polifoniche vocali – madrigali, mottetti, cantate – e alla fine del decennio era già un compositore riconosciuto e famoso in Italia e fu accettato come membro ordinario dell’Accademia Romana “Santa Cecilia”.

Dal 1590 Monteverdi prestò servizio nella cappella di corte del Duca di Mantova, prima come orchestratore e cantante-solista, e poi come principale maestro di cappella. La sontuosa e ricca corte dell’aristocratico mecenate Vincenzo Gonzaga riuniva i maggiori cantanti e musicisti italiani dell’epoca. A quel tempo Monteverdi incontrò numerose celebrità: il poeta Torquato Tasso, l’artista fiammingo Rubens, così come i compositori della famosa Camerata di Firenze, gli autori delle prime opere “Daphne” ed “Euridice” – Giovanni Peri e Ottavio Rinuccini. Accompagnando il suo mecenate – il Duca di Gonzaga – nei suoi frequenti viaggi e campagne militari, Claudio Monteverdi ebbe l’opportunità di viaggiare in Europa a, Praga, Vienna, Innsbruck e Anversa.

Nel febbraio 1607 andò in scena a Mantova con grande successo la prima opera di Monteverdi, su testo del compositore Alessandro Striggio, “Orfeo”. Monteverdi trasforma questa modesta commedia pastorale, destinata alle vacanze di palazzo, in un vero e commovente dramma sulla sofferenza e il tragico destino di Orfeo, in bellezza immortale della sua arte. Ricorderemo qui che Monteverdi e Striggio conservano la versione tragica dell’epilogo del mito: Orfeo che, lasciando il Regno dei Morti, infrange il divieto, guarda indietro verso Euridice e la perde per sempre.

Si può dire che quest’opera di Monteverdi – con la sua innovazione e la ricchezza dei suoi mezzi espressivi – è un vero capolavoro, e si distingue da tutte le simili opere musicali-sceniche in questa fase iniziale dello sviluppo del genere. La declamazione espressiva e l’ampia cantilena, i cori e gli ensemble emozionanti, precisamente il balletto, la parte orchestrale sviluppata – tutto ciò rivela un’idea profonda.

Claudio Monteverdi, dipinto di Bernardo Strozzi, 1630 ca. 

Della seconda opera di Monteverdi, Arianna, del 1608, è sopravvissuta fino a noi una sola scena, il famoso “Lamento di Arianna” (“Lasciami morire …”), che è servito da modello per molte arie di questo tipo nell’opera italiana. Il Lamento di Arianna è noto in due versioni: per voce solista e nella forma di un madrigale in cinque parti.

Nel 1613 Monteverdi si trasferì a Venezia, la città in cui ci sono già diverse dozzine di teatri d’opera, secondo alcuni cronisti, più di 40, dove per il resto della sua vita rimase in servizio come Kapellmeister nella grande cattedrale di San Marco. La ricca vita musicale della ricca e fiorente Repubblica di Venezia aprì nuove opportunità per il compositore. Monteverdi scrisse opere, balletti, intermezzi, madrigali, musiche per le celebrazioni in chiesa e a palazzo. Una delle opere più originali di quegli anni è l’opera-balletto in un atto “La battaglia di Tancredi e Clorinda” tratta da una parte del poema “Gerusalemme liberata” del grande Torquato Tasso.

Si può dire che questa non è una vera opera, ma un madrigale in stile pittoresco, tuttavia con un’azione scenica. Presentato per la prima volta nel palazzo del conte Girolamo Mocenigo durante il Carnevale veneziano del 1624, commosse grandemente, secondo i ricordi dei contemporanei, “il pubblico fino alle lacrime”! Si può definire qualcosa tra un oratorio e un balletto, dove l’azione si esprime attraverso la danza e la pantomima, momento quando Monteverdi stabilisce un legame stretto, persistente e preciso tra poesia e musica, nello stile della più pura recitazione melodica.

Nelle ultime opere del periodo “veneziano” di Monteverdi si avvertono i vari mutamenti stilistici avvenuti nel melodramma italiano – soprattutto dopo il periodo di massimo splendore della Scuola Romana. Una grande libertà di mezzi di espressione, poiché le sue opere sono già tele drammatiche ampiamente spiegate. Gli episodi corali sono significativamente ridotti o addirittura rimossi, i momenti dell’aria e i recitativi sono combinati in modo flessibile, funzionalmente secondo lo svolgimento dell’azione scenica, e l’architettura teatrale è già diversa. L’inizio del “linguaggio operistico”, ormai lontano dall’oratorio e dal madrigale, è fissato.

Nel 1643, in occasione del Carnevale di Venezia, andò in scena l’ultima opera teatrale di Monteverdi, “L’incoronazione di Poppea”. Il libretto di quest’opera in cinque atti, di grandi dimensioni per l’epoca, ispirata all’antico dramma greco, è scritto dal poeta Gian Francesco Busenello ispirato da Annales di Tacito. Questa opera teatrale postuma del maestro già 75enne segna un vero e proprio picco nel suo percorso creativo. Qui non ci sono quasi dei ed eroi mitologici, ma figure storiche concrete e reali – l’imperatore romano Nerone, noto per il suo tradimento, narcisismo e crudeltà, il suo nobile maestro – il filosofo Seneca – sua moglie, l’ambiziosa Poppea. Si può certamente tracciare un parallelo tra L’incoronazione di Poppea e le grandi tragedie del grande Shakespeare suo contemporaneo. Passioni forti e intense, conflitti acuti, giochi di contrasto “shakespeariani” – dal comico al tragico.
Per citarne uno ci soffermiamo all’addio di Seneca ai suoi studenti, seguito da una scena allegra – quella di di Nerone e dei suoi amici. Cambio drastico, intensità di passioni, contrasti taglienti, veramente “shakespeariani” di scene sublimi. Così, l’addio di Seneca agli studenti – il tragico climax dell’opera – è sostituito da un allegro intermezzo segnato dall’apparizione di una serva.
Nerone e i suoi amici deridono l’insegnante, ne celebrano la morte.

E poi il finale… Qui il testo e la musica si completano a vicenda in modo straordinario. La musica si sviluppa rapidamente, presentando impetuosamente l’azione scenica attraverso monodie flessibili e arie costruite in modo funzionale. La definizione dell’autore sul frontespizio della partitura è proprio “Dramma per musica”!

“L’unica legge per Monteverdi – scrive Romain Rolland – che ci ha lasciato non solo una bella prosa ma anche potenti testi per la musica, era la vita stessa”

Sì, come Shakespeare, Monteverdi era in anticipo sui tempi. Ci sono voluti molti anni, anche due secoli, perché apparisse il primo vero grande realista del teatro musicale, Wolfgang Amadeus Mozart, e dopo di lui Verdi, Bizet, Puccini. Forse per questo il destino delle sue opere è stato così sorprendente. Per molti anni i lavori di Monteverdi sono rimasti nell’oblio, tornati in vita solo ai nostri tempi. Nel Novecento Monteverdi – dimenticato per secoli – è stato riscoperto da numerosi teatri musicali, direttori e registi.

Le sole sue quattro partiture conservate su 11 totali – “L’Orfeo”, “Tancredi e Clorinda”, Il ritorno di Ulisse in patria” e “L’incoronazione di Poppea” – sono state eseguite prima in Inghilterra e in Italia, e poi in numerosi paesi europei e negli Stati Uniti. Ci sono state molte bellissime esibizioni a Glyndebourne, Roma, Firenze, Venezia, Zurigo, Parigi, Budapest, Berlino. Citando solo alcune vette tra le tante realizzazioni troviamo “L’incoronazione di Poppea”, con il regista Patrice Chérault a Zurigo; “Orfeo” a Barcellona con il direttore d’orchestra Jordi Saval; “Orpheus Homecoming” a Glyndebourne.

Dal testo originale di: Ognyan Stamboliev – critico

Versione in Bulgaro: https://cafearte.bg/380-years-without-orpheus-from-kremona/

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Sabato, 6 maggio 2023 – n°18/2023

In copertina: “Il concerto” di Gerard van Honthorst -1623 National Gallery of Art, Washington, D. C. – dominio pubblico

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