L’omertà e le connivenze dei siciliani
di Ettore Vittorini
Due giorni dopo la cattura di Matteo Messina Denaro avvenuta il 16 gennaio, il sindaco di Campobello di Mazara del Vallo – il paese in cui si nascondeva il boss mafioso – aveva invitato la popolazione, attraverso i social, a partecipare a una manifestazione in favore della legalità, della azione compiuta dai carabinieri del RIS e della magistratura. L’appuntamento era davanti all’unica scuola del paese, la Pirandello, ma si sono presentati soltanto gli alunni accompagnati dagli insegnanti.
E i genitori dov’erano? Forse al lavoro. E i nonni? Mah! Mi viene da dire: “’È la Sicilia Bellezza”, parafrasando Humphrey Bogart.
Alcuni di loro, avvicinati al bar dai giornalisti rispondevano: “Lo vedevamo ogni tanto al bar quando veniva a prendere un caffè; al supermercato, al tabaccaio. Era una persona gentile ma non sapevamo chi fosse”. Anche il sindaco non sapeva chi fosse quello sconosciuto e nemmeno il comandante dei vigili urbani. Ma è possibile che la presenza di un estraneo in un piccolo paese non destasse qualche sospetto? Un vicino di pianerottolo ha detto che quando si incontravano si scambiavano un semplice saluto e basta.
Matteo Messina Denaro – detto anche “U Siccu” – non abitava in un covo, ma in un moderno appartamento ben arredato, anche con una piccola palestra che conteneva una cyclette, un tapis roulant e altri attrezzi. Il vero covo si trovava a 300 metri dalla residenza del boss in un piccolo appartamento al pianterreno fornito di un bunker il cui ingresso era mascherato da un armadio. Gli inquirenti lo hanno trovato due giorni dopo la cattura e un altro 24 ore dopo. Hanno subito sequestrato quanto contenevano: gioielli, denaro e documenti la cui rilevanza per adesso non si conosce. Sembra che sia stato lo stesso “Cortu” ad informarli dell’esistenza dei bunker con un ritardo che potrebbe essere servito ai suoi complici per portar via certe prove compromettenti. Sembra un gioco da guardie e ladri.
Quando fu arrestato il 15 gennaio del 1993 Toto Riina, la perquisizione del suo covo non fu immediata ma avvenne addirittura due settimane dopo, dando il tempo alla mafia di sottrarre “con calma” i documenti conservati dal boss. Sul quel ritardo i giudici stabilirono che era stato provocato da un “disguido” tra magistrati e forze dell’ordine. Una spiegazione che fa riflettere.
Messina Denaro si trova adesso nel carcere dell’Aquila dove è già sottoposto alle cure per il tumore che ha da tempo. Allo psicologo ha dichiarato di non essere pentito e che non ha alcuna intenzione di “parlare”. Forse teme di fare la fine di Gaspare Pisciotta – cugino del bandito Giuliano – che nel 1953 morì nel carcere dell’Ucciardone dopo aver bevuto una tazzina di caffè al cianuro. Nel 1986 anche il banchiere e faccendiere legato alla mafia, Michele Sindona, morì di caffè al cianuro nel supercarcere di Voghera. Nel nostro Paese la verità sull’operato della mafia non si raggiunge mai come per tanti altri misteri: complotti, attentati e tentativi di colpi di stato.
Nei 30 anni della latitanza di Matteo Denaro si è scritto e parlato molto di lui e forse si è fatto poco per rintracciarlo. Come risulta in questi giorni, ha goduto di tante coperture. Non solo quelle del paese in cui si era rintanato negli ultimi tempi e dei suoi concittadini di Castelvetrano – dove è nato – distante a un quarto d’ora di macchina. Nella sua città molti di loro lo considerano un benefattore perché ha procurato tanti posti di lavoro grazie ai supermercati, agli alberghi, i ristoranti e tanti altri beni che gli appartenevano, molti mascherati dai prestanome. Ma con i doverosi sequestri compiuti dalla magistratura centinaia di persone hanno perso il lavoro.
L’omertà non nasce solo da un tipo di mentalità diffusa, ma dalla necessità per una parte del proletariato siciliano di sopravvivere alla miseria. Poi c’è la complicità diretta e indiretta dei ceti più abbienti, i medici che lo hanno curato – due di loro hanno ricevuto avvisi di garanzia – e una buona parte della borghesia siciliana che pur non appartenendo a “cosa nostra”, ne ha tratto grandi vantaggi attraverso scambi di favori, corruzione e politica.
I magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati assassinati – negli attentati per i quali è coinvolto Messina Denaro – perché le loro indagini erano rivolte sui conti bancari e i beni di quella borghesia e dei politici ad essa strettamente legati. Lo stesso avvenne per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia nel 1982 proprio per avere dato inizio a quel tipo di indagini mentre la magistratura di allora sonnecchiava.
Sabato, 21 gennaio 2023 – n°3/2023
In copertina: l’attentato di Capaci dove morì Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta