Italia al giro di boa?
di Laura Sestini
Sono iniziati i primi rimpalli di responsabilità per il caso della nave Gregoretti della Guardia Costiera italiana che, a luglio del 2019, rimase per sei giorni in mare con 131 migranti a bordo recuperati da un barcone, senza che venisse acconsentito lo sbarco a terra. L’udienza preliminare per sequestro di persona a carico di Matteo Salvini, allora Ministro dell’Interno che, ieri, è comparso davanti al giudice di Catania, è stata rinviata alla data del 20 novembre – al carcere di Bicocca della città etnea – unitamente alla convocazione – da parte del Giudice – come testimoni, del premier Conte, dei due ministri Lamorgese e Di Maio, congiuntamente a Toninelli e Trenta, ex ministri, al momento dei fatti, del Governo Conte1.
Il giorno scelto per la prima udienza, il 3 ottobre, è una data altamente simbolica in quanto commemora propriamente la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, nonché il tragico naufragio nel Mediterraneo – per il quale è stata istituita – quando, nel 2013, morirono 368 migranti a causa dell’affondamento del barcone su cui viaggiavano alla volta di Lampedusa.
Contemporaneamente, le ONG più conosciute che operano nel Mediterraneo – quali Open arms, Sea Watch, Mediterranea e Medici Senza Frontiere – hanno avuto non poche difficoltà per salvare le migliaia di vite che dalla Libia, dalla Tunisia e dal Medioriente tentano di arrivare in Italia, prima, a causa Decreto Minniti del 2017 e, poi, del Decreto Sicurezza bis voluto da Salvini, nel 2019.
I suddetti pacchetti di leggi, messi teoricamente ancora una volta in discussione, hanno permesso ai precedenti Governi i numerosi fermi e le sanzioni pecuniarie alle navi dedite al salvataggio in mare – in violazione delle leggi internazionali sui diritti umani e le normative specifiche sugli obblighi di soccorso in mare – contro le quali le ONG hanno sottoscritto un documento unitario di denuncia, di richieste e di intenti:
“Le 200 persone – donne, uomini e bambini – che hanno perso la vita annegando in mare davanti alle coste della Libia – secondo l’ultimo rapporto di Alarm Phone – sono la terribile dimostrazione che nel Mediterraneo Centrale si continua a morire, nella totale indifferenza di governi e istituzioni. Nella stessa settimana, sono emerse le proposte del nuovo Decreto sull’Immigrazione in Italia e del nuovo Patto europeo sulla Migrazione, che non ha fatto alcun passo verso gli obblighi del soccorso in mare, sottoscrivendo invece la strategia italiana del blocco delle navi della società civile.
Sette anni dopo la strage di Lampedusa, il Mediterraneo resta uno dei più grandi cimiteri al mondo, a nulla vale la presenza, fino nella rada del porto di Tripoli, di mezzi militari italiani ed europei ad evitarlo.
A nulla vale il fatto che i voli di ricognizione aerea dell’Agenzia Frontex e di Eunavformed siano in grado di controllare ogni movimento che avviene sulle coste della Libia, di fatto facilitando il respingimento illegale delle persone per procura.
A nulla valgono gli imbarazzanti tentativi, nonostante i pareri contrari delle Nazioni Unite e le prove raccolte da Amnesty International e molti altri, di far passare la Guardia costiera libica come una legittima autorità in grado di soccorrere nel rispetto della vita e della dignità umana: sappiamo tutti che non soccorre, ma cattura e riporta forzatamente nei centri di detenzione in Libia tutti coloro che si mettono in mare per fuggire a schiavitù, torture, violenza e sfruttamento.
Per queste ragioni, l’assurdo tentativo, operato attraverso un accanimento amministrativo di dubbia legalità e di sicura illegittimità, di bloccare ogni assetto di soccorso civile in mare da parte del Governo italiano, appare ancora più grave.
La pratica del soccorso civile si è resa in questi anni necessaria a fronte della colpevole assenza delle istituzioni europee con decine di migliaia di vittime accertate e il ripetersi di stragi assolutamente annunciate.
Perché dobbiamo continuare ad assistere a questa vergogna?
Perché ci viene impedito di reagire con dignità e umanità tentando di soccorrere quanti più esseri umani possibile?
Come organizzazioni di soccorso impegnate nel Mediterraneo, vogliamo solo che le persone non siano abbandonate al loro destino in mare, come previsto da Convenzioni internazionali sottoscritte anche dall’Italia.
Vogliamo che la vita umana possa valere di più di ogni altra cosa.
Vogliamo esercitare il nostro diritto a essere solidali, in mare come a terra, verso chi chiede aiuto. Bloccare, con pretesti tecnico-burocratici, tutte le navi del soccorso civile e i mezzi aerei di monitoraggio mette il Governo italiano in una posizione che contraddice quei principi di legalità e umanità che i suoi ministri dichiarano davanti al Paese.
Chiediamo un confronto serio con il Governo italiano, senza negare la complessità della situazione dovuta alla pandemia e alla posizione geografica dell’Italia.
Siamo convinti che su tutto si possano trovare mediazioni, ma non sulla vita delle persone e sul soccorso, al quale tutti hanno diritto.
Le organizzazioni in mare chiedono:
1. Il riconoscimento istituzionale, non solo a parole ma attraverso una pratica sottoscritta dai Ministeri competenti, del valore e dell’obbligo della necessità del soccorso in mare;
2. la fine del blocco delle navi e degli aerei delle organizzazioni della società civile europea;
3. l’immediata assistenza e assegnazione di un porto sicuro entro le 24 ore per tutti i mezzi navali che si trovassero a operare soccorsi in mare, al di là della loro classificazione – come previsto dalla Convenzione per il soccorso in mare nella dicitura ‘senza ritardo alcuno’ – con procedure sanitarie chiare e uguali per tutte.
4. la riattivazione di un meccanismo europeo per la salvaguardia della vita in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale“.
Sea-Watch, Open Arms, Medici Senza Frontiere e Mediterranea
Fortuitamente, alla stessa data del 3 ottobre, è anche considerata positiva l’ispezione della Guardia Costiera Italiana a bordo della nave usata dalla ONG spagnola Proactive Open Arms per i salvataggi – evidenziando che il natante risponde a tutti gli standard di sicurezza necessari per l’attività SAR di ricerca e soccorso, e la stessa non è stata bloccata.
Infine, mentre sembra muoversi qualcosa verso il sacrosanto diritto – decretato per legge – di poter aspirare a vite migliori rispetto ai Paesi in guerra, a dittature politiche o alle migrazioni dovute ai cambiamenti climatici, ricordiamo la fervente attività dei volontari e degli operatori di Croce Rossa a bordo delle cinque navi-quarantena dislocate in differenti porti della Sicilia, a tutela della salute dei migranti risultati positivi al test del Covid-19, più donne, minori e uomini sbarcati nelle ultime settimane a Lampedusa, negativi al test, ma che vengonoo sottoposti comunque alla quarantena obbligatoria per legge.
In copertina: La Croce Rossa operativa sulle navi-quarantena. Foto ©Laura Sestini (tutti i diritti riservati).