L’intervista a Martina Pignatti Morano
di Laura Sestini
Con il conflitto in Ucraina, la tradizionale neutralità del movimento pacifista è spesso messa in secondo piano da conduttori televisivi e organi di informazione, i pacifisti bistrattati e considerati – quando non peggio – filo- putiniani, come se in questa specifica guerra si dovesse obbligatoriamente essere schierati.
La questione del movimento pacifista merita senz’altro – al contrario – di essere approfondita, ed ancora migliore, sarebbe che l’opinione pubblica agisse in tal senso.
Per fugare ogni dubbio sul pensiero e l’azione del popolo pacifista e neutrale, abbiamo interpellato Martina Pignatti Morano, direttrice dei programmi della Ong Un Ponte Per, una appassionata assertrice della lotta non violenta e componente esperta della Rete Pace e Disarmo.
Recentemente Martina l’abbiamo vista comparire spesso alla trasmissione televisiva 8 e Mezzo, condotta da Lilli Gruber, per discutere insieme ad altri commentatori sulla guerra in Ucraina.
Qual’è stata la vostra posizione dell’inizio della guerra in Ucraina?
Martina Pignatti Morano – A seguito dell’inizio del conflitto tra Russia ed Ucraina la ONG Un Ponte per e tutte le associazioni che fanno parte della Rete Pace e Disarmo avevano elaborato una serie di proposte costruttive, un modello di Piano di pace ideale, per tentar di fermare una guerra alla quale siamo arrivati dopo una serie di errori eclatanti della diplomazia internazionale e una scelta criminale della Russia che agisce in violazione del diritto internazionale, mostrando di voler controllare un Paese sovrano. La risposta dell’Ucraina purtroppo sembra non tener conto della storia geopolitica degli ultimi 40 anni, chiedendo da subito un intervento diretto della Nato.
Vi invitiamo a leggere le prime proposte formulate da Rete Pace e Disarmo (https://retepacedisarmo.org/2022/rete-pace-disarmo-si-fermi-la-guerra-in-ucraina-e-parta-un-vero-processo-di-pace/) e valutare oggi dopo oltre quattro mesi di conflitto se non convenisse agire in quella direzione. E’ abbastanza sconsolante che anche questo giornale abbia scritto che quando viene richiesta un’alternativa dai pacifisti, rispetto all’invio di armi, noi non sappiamo cosa rispondere. I tempi dei talk show sono mortificanti per spiegare il nostro punto di vista ma di sette i punti avanzati dalle nostre reti per avviare le trattative tra Ucraina e Russia, quattro sono compresi nel Piano di pace proposta dall’Italia all’Onu, di cui poi tutto il mondo ha parlato in termini positivi.
Uno dei problemi principali intorno al conflitto sta nella postura che l’Italia e l’Europa hanno in questo adottato, con la scelta di stare totalmente da una sola parte, inviando aiuti militari a quell’attore in campo; oltre a non aver trovato fino a questo momento un soggetto internazionale che sia all’altezza di fare da mediatore tra i conflittuanti, affinché possano dialogare.
Mantenere la neutralità – una richiesta che noi avevamo fatto inizialmente al Governo italiano – non vuol dire non condannare l’illegale aggressione dell’Ucraina da parte della Russia; essere neutrali consente di esprimere un giudizio su chi sia l’aggressore e l’aggredito, ma significa scegliere di non sostenere militarmente una delle parti e non favorire l’escalation dello scontro armato. Purtroppo l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti hanno scelto l’escalation, questi ultimi con l’obiettivo preciso di destabilizzare e indebolire il Governo russo. La sudditanza dell’Europa agli interessi statunitensi è un atteggiamento poco comprensibile e comunque non accettabile.
I pacifisti hanno fatto delle proposte concrete su come dovrebbe agire la diplomazia ad alto livello, ma anche su ciò che si può fare durante la guerra se si è veramente interessati al benessere della popolazione Ucraina: aiuti umanitari e sostegno al peacebuilding, attraverso l’associazionismo, la società civile, le chiese, i centri giovanili in Ucraina. Il Ministero della gioventù e dello sport ucraino ci ha espressamente richiesto di aiutare gli Ucraini a promuovere la coesione sociale interna al paese, per non essere smembrati dalla guerra civile che si sta sviluppando tra i sostenitori delle due parti, ed aiutare gli i cittadini ad immaginare dei percorsi di convivenza, in regioni con diversi ambiti di autonomia, se un processo di pace riuscisse a garantire il cessate il fuoco e l’inizio di un dialogo sugli scenari futuri.
Si deve ricordare che questo conflitto prosegue da diversi anni, per cui la soluzione non può solo tenere conto di cosa è successo da febbraio ad ora, ma perlomeno dal 2014 in poi, e farsi carico di un’analisi delle profonde radici di questo conflitto. Sicuramente, continuare ad inviare armamenti nella regione non aiuta. Noi pacifisti questo lo abbiamo sempre affermato anche per il Medio Oriente, persino quando era necessario liberare militarmente le aree della Siria e dell’Iraq dal cosiddetto Stato Islamico (Daesh), per il rischio che le armi finissero nelle mani sbagliate e comunque continuassero a incentivare le opzioni militari. Le armi non mancano mai; le armi c’erano già in Ucraina prima che iniziasse il conflitto. La Turchia ha venduto droni e armamenti all’Ucraina fino al giorno prima che scoppiassero le ostilità. Gli armamenti minimi necessari per la difesa erano posizionati. Il punto è un altro. Vogliamo continuare a fomentare lo scontro tra le parti, oppure desideriamo convincere le parti a sedersi ad un tavolo per trovare un accordo che garantisca il cessate il fuoco
Questo è un tema su cui noi pacifisti chiediamo a tutti di riflettere, ed è un vero peccato quando la nostra posizione non viene riportata dai media in modo onesto, accusando di ingenuità chi semplicemente suggerisce delle vie alternative rispetto ad una guerra che continua a fare vittime civili – attualmente circa 5000 – e distruggere le infrastrutture di un intero paese. Quindici milioni di ucraini hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere. Vogliamo proseguire in questo modo altri mesi/anni o vogliamo ricercare una transizione di pace?
Cosa significa essere pacifisti?
M.P.M. – Essere pacifisti significa essere consapevoli che la violenza e lo scontro armato sono il segnale del fallimento nella gestione di un conflitto. Un conflitto può essere un’opportunità, non necessariamente un problema. Può evidenziare che c’è un’interazione sociale e politica di disequilibrio, un oppressore e un oppresso, oppure una persona che si sente tale, uno Stato che si sente prevaricato, che lo sia o non lo sia, ed ha delle rivendicazioni. Quindi un conflitto è un modo per evidenziare tra due o più parti determinate situazioni di scontro o di attrito, frustrazione o senso di sfruttamento economico e politico, alle quali va trovata una soluzione.
Il movimento pacifista mostra, e dimostra, che c’è tutta una gamma di azioni nonviolente che possono essere messe in campo dalla società civile, dalla diplomazia e dal sistema economico per dirimere le controversie e generare nuovi equilibri, cioè che ci sono modi in cui i conflitti possono essere trasformati.
Arrivare alla guerra e alla violenza è il segnale del fallimento su tutte le alternative. Il pacifista è una persona che conosce le modalità nonviolente per la gestione dei conflitti e cerca in tutti i modi di prevenire l’escalation della violenza; è una persona che rifiuta in modo netto l’opzione del sostegno militare per risolvere i conflitti. Scegliamo di escludere in ogni modo l’opzione armata perché questa tende a fare apparire tutte le altre alternative come velleitarie, faticose, troppo di lungo termine; al contrario, la violenza promette di risolvere le guerre in breve tempo. Purtroppo non è così. L’opzione della “liberazione armata”, la lotta armata, spesso implica un prolungarsi del conflitto, che produce un impatto disastroso sulla popolazione civile, solitamente non fanatica della violenza, che invece sempre subisce. Talvolta, nei conflitti, i cittadini possono essere convinti, indotti, ingannati nella scelta della lotta armata perché si dice loro che non c’è alternativa.
Essere pacifisti significa assecondare il naturale desiderio di pace e non violenza dei popoli.
Con il conflitto in Ucraina i pacifisti sono stati ”demonizzati”. La neutralità pacifista viene tacciata come filo-putiniana. Questo si legge sui quotidiani e sui social. Cosa è successo rispetto agli altri conflitti?
M.P.M. – Nella mia opinione i giornalisti ritengono questa domanda sia interessante per innescare dibattiti, ma la maggior parte della popolazione italiana ha capito quale sia la posizione dei pacifisti. Una narrativa confusa in Italia si è creata per la posizione di personaggi come Salvini, che è davvero putiniano e chiede lo stop all’invio di armamenti. Da noi ci sono dei partiti – come Lega o Forza Italia – che hanno stretto alleanze forti con Putin nel momento in cui questo già commetteva eclatanti violazioni dei diritti umani e civili – uccideva giornalisti, oppositori politici e assecondava stragi di civili in Siria; ciò nonostante questi partiti negoziavano vantaggi per loro stessi e le proprie imprese – è certo che lo abbia fatto Silvio Berlusconi – mentre trattavano affari di Stato con Putin.
In seguito queste forze politiche si sono dichiarate in qualche modo pacifiste, si sono schierate contro l’invio di armi all’Ucraina ed anno creato posizioni ambigue, facendo breccia nel pensiero di persone meno formate sui valori e sulla storia del pacifismo a credere che il nostro punto di vista coincida con i “putiniani”.
Noi invece siamo stati sempre pacifisti “veri”, anche nei confronti della Russia, come è vera l’aspirazione alla pace di gran parte della popolazione Italiana che si oppone all’invio di armi. Condanniamo, quindi, in maniera netta l’invasione dell’Ucraina, di uno Stato sovrano da parte della Russia, e denunciamo il fatto che Putin sia sempre stato un autocrate senza scrupoli, che viola sistematicamente i diritti umani.
Condanniamo la scelta dei precedenti Governi italiani di costruire una politica energetica in totale dipendenza dalla Russia, come la scelta di vendere armi a Putin – molte commesse approvate da Renzi – persino durante l’embargo, dopo il 2014. Rete Pace e Disarmo ha denunciato che l’Italia ha continuato a vendere armi per due-tre milioni all’anno alla Russia fino a tutto il 2021. Questi sono i veri putiniani, non i pacifisti.
Credo – e spero – che l’opinione pubblica si sia accorta che questo dibattito sui pacifisti è solo dentro i talk show televisivi.
In questo momento critico, dipingere la popolazione pacifista come naïf, dire che non tiene conto dei bisogni e degli interessi della popolazione ucraina, è gravissimo da parte di certa stampa ed altrettanto preoccupante da una parte dell’opinione pubblica. Proprio perché teniamo alla vita degli Ucraini, vogliamo arrivare in tutti i modi ad una de-escalation della guerra e siamo anche molto preoccupati nel vedere che nessuna delle due parti in conflitto protegga la vita dei civili. Di recente c’è stato un attacco militare in un mercato popolare a Donetsk per mano degli ucraini, che ha causato 5 vittime civili tra cui un bambino. Anche gli ucraini a volte bombardano deliberatamente civili nelle aree delle autonomie filorusse . La guerra è questa, non è una sorpresa. In Iraq, le forze speciali irachene – formate dalle forze militari statunitensi – che hanno liberato le zone da Daesh, in tanti casi hanno commesso stupri, torture, uccisioni extragiudiziali come Daesh, hanno tenuto un comportamento identico ai miliziani islamisti. Questa è la guerra.
La guerra è uno strumento disumanizzante, ed è per questo che dobbiamo fare qualsiasi cosa per evitare il continuo aumento degli aiuti militari alle parti e l’incentivo a combattere.
Come si può abbracciare la filosofia pacifista?
E’ molto importante studiare i movimenti civili nonviolenti, della pace e di disarmo degli ultimi cento anni, analisi che dimostra quanto sono articolate le posizioni dei pacifisti e di chi lavora per il disarmo. Soprattutto evidenzia che si può vincere, ed è più probabile vincere con la resistenza nonviolenta quando si hanno obiettivi di ristabilire la democrazia, l’autonomia, l’indipendenza dai dittatori.
Se si sceglie una lotta nonviolenta ci sono più probabilità di instaurare un regime democratico, lo ricordano molti episodi durante la storia del ‘900. C’è uno studio molto interessante condotto da due ricercatrici e analiste americane su movimenti di resistenza – violenta e nonviolenta – contro i regimi autocratici, che vi invito a leggere. Si intitola “Why Civil Resistance Works”, di Erica Chenoweth e Maria Stepha,n ed è acquistabile online.
Un’ altra parte di storia interessante da studiare sono i movimenti per la pace, per esempio la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN) che ha vinto il premio Nobel per la pace, ed è rilanciata qui dalla Campagna Italia Ripensaci (https://retepacedisarmo.org/disarmo-nucleare/italia-ripensaci/). ICAN è stata costruita da movimenti pacifisti di base in tutto il mondo – iniziando senza agganci a personaggi potenti – soprattutto senza un interesse diverso dalla promozione della pace e del disarmo. L’azione è stata portata avanti con la determinazione, la forza morale e l’adesione a principi etici, con la convinzione che questo fosse necessario per la sopravvivenza e il bene dell’umanità.
I movimenti per la pace sono arrivati fino all’Onu per proporre un trattato sul divieto delle armi nucleari che è stato approvato, è entrato in vigore nel 2021 ed è stato già firmato da 84 Stati in tutto il mondo . Questo è un segnale molto chiaro che evidenzia come il pacifismo può vincere i propri obiettivi: non vince per ideologia, ma per la sua concretezza nel venire incontro ai bisogni dell’umanità.
E’ necessario avere questa convinzione per sposare la causa pacifista. Serve la voglia di mettersi in gioco e la disponibilità a parlare e dialogare con chi la pensa diversamente da noi . Il pacifista crede nel dialogo, è per eccellenza la persona disponibile a discutere del proprio punto di vista, rispetto a chi ne ha un altro, cercando – tramite il dialogo – di arrivare ad un cambiamento che prende in considerazione gli interessi di tutte le parti.
La cosa estremamente stimolante è che anche l’opera di persuasione funziona. Ad esempio l’articolo che aveva pubblicato il tuo collega (articolo del 23 aprile – ndr) è uscito dopo la mia prima apparizione in TV ad 8e ½, ma poi in quel programma sono stata invitata diverse volte. Andando avanti nelle puntate, man mano continuando ad arricchire la comunicazione – anche se i tempi sono sempre molto stretti – si riescono a dire più cose ed il pensiero che si vuole trasmettere diventa più chiaro. Noto sempre più rispetto, sempre più ascolto da parte di altri. Gli argomenti che io e altri abbiamo portato in TV sono anche citati da politici, differenti commentatori e fanno breccia sulla stampa. Questi commenti arrivano alle persone, anche a coloro che conoscono meno il movimento pacifista, che possono iniziare a credere che una alternativa alla guerra armata ci può essere.
Questo, però, non è un lavoro che dovremmo fare noi, in teoria ci dovrebbe pensare la diplomazia. Questa esiste ed è pagata con soldi pubblici per prevenire i conflitti internazionali attraverso il dialogo. Se i diplomatici non ci pensano, se la diplomazia non funziona, servono il pungolo e l’intervento della società civile, dei movimenti sociali.
Speriamo in questo di riuscire ad avere una carica innovatrice forte per continuare a mantenere l’interesse alto su questo conflitto poiché con la scusa della guerra in Ucraina i nostri Governi stanno aumentando in modo spaventoso le spese militari, per interessi ed obiettivi che non hanno niente a che vedere con l’Ucraina, niente a che vedere con la minaccia russa.
La popolazione viene ingannata su questo argomento. C’è una militarizzazione pesante dell’Unione Europea mai avvenuta nella storia, che tradisce lo spirito originario dell’Unione e preoccupa molto. È importante che la gente continui a prestare interesse al tema guerra e pace perché i Governi stanno rinunciando invece a spendere per la transizione ecologica e per il nostro sistema sanitario che è un disastro, scegliendo invece di investire sugli armamenti. Come è possibile? Non glielo dobbiamo lasciare fare, dobbiamo continuare ad informarci puntualmente sui danni prodotti da questa politica.
Anche perché se ti riarmi, devi essere convinto che c’è un conflitto alle porte. Il complesso militare-industriale che convince gli Stati ad investire in questo senso ha tutto l’interesse ad alzare il tono dell’allarme. Da economista ho studiato “le aspettative autorealizzantesi” ovvero delle aspettative che si continuano ad auto-alimentare – mentre tutti si armano – e va a finire che l’allarme paventato, che inizialmente era poco probabile, poi si concretizzi davvero. È un processo reale in economia, come nella vita e in politica, perché l’uomo è un animale che può essere pericoloso, per sé stesso e per la natura. Dobbiamo essere consapevoli di questi rischi, per poterli contenere.
Sabato, 2 luglio 2022 – n° 27/2022
In copertina: team di operatori di PATRIR in Ucraina, partner del progetto di peacebuilding di Un Ponte Per – Foto: PATRIR (tutti i diritti riservati)