“Perdere ogni paura per diventare invincibili”
di Laura Sestini
Al primo impatto, di Marco Filiberti, si ha a che fare con la sua gentilezza e i modi garbatamente eleganti. Look sobriamente retrò, di fronte al regista, drammaturgo, attore, cineasta, sembra di aver fatto un salto indietro nel tempo, si entra in una diversa dimensione. Non un fatto negativo, anzi tutt’altro, fosse solo per l’affabile accoglienza con cui egli si rivolge a tutti i presenti, amici di lunga memoria, o avventori del momento che rimirano sorpresi le belle immagini di scena, firmate dalle due attente fotografe Maria Elena Fantasia e Francesca Cassaro, esposte nel foyer del seicentesco Teatro degli Astrusi di Montalcino, in Val d’Orcia.
La campagna senese è divenuta il luogo di elezione scelto da Filiberti, trasferitosi alcuni anni fa in Toscana dalla più cosmopolita Milano. La Val d’Orcia elevata a luogo dell’anima.
Alle sorgenti della bellezza – così il titolo della mostra allestita a Montalcino – ritrova immortalati attimi di scena tra i lavori teatrali e cinematografici di Filiberti, abbinati ad alcuni costumi usati nelle produzioni, accuratamente realizzati da Daniele Gelsi con tessuti naturali e particolare minuzia.
La mostra fotografica è occasione per riunire intorno a sé amici, attrici ed attori interpreti del lavoro di ricerca di Marco Filiberti, addetti ai lavori, critici, cittadini valdorcesi, ed approfondire l’ultimo lavoro cinematografico del regista – uscito nel 2021 – sulla non facile figura di Parsifal.
Una volta sul palco, moderato dal critico cinematografico Giovanni Bogani, Filiberti racconta il suo modo di lavorare, la sua filosofia di vita, che si trasferisce anche sulla sua produzione drammaturgica e artistica in generale, nonché il messaggio che porta con sé il mito di Parsifal, colui che nella leggenda raggiunse il Sacro Graal, la coppa rituale legata alla figura di Cristo e in particolare all’Ultima cena, metafora di una grande e consapevole illuminazione spirituale.
Il percorso personale e artistico di Filiberti è trasversale a più a discipline culturali, la drammaturgia, il teatro, la cinematografia, la sceneggiatura, arti che si uniscono alla sua vasta cultura, di cui qualcuno dei presenti bisbiglia, a sostegno delle parole che lui rivolge al pubblico. “Una personalità assolutamente unica”– lo descrive Enrico Falaschi – direttore artistico Teatri di Montalcino.
La produzione di Filiberti è in autonomia, allo scopo di poter mantenere tutta la propria potenzialità espressiva, disgiunta dai vincoli della cultura mainstream.
Il fulcro della ricerca poetica di Marco Filiberti va ad indagare la prospettiva apocalittica della storia contemporanea, con i suoi gravi rischi di declino antropologico, sociale e ambientale, a cui si contrappone la funzione pedagogica dell’arte, forse ultimo bastione per la salvezza umana, fisica e morale.
Per realizzare questa nuova versione cinematografica del Parsifal (la prima giunge da Giulio Caserini e risale al 1912, mentre una più recente versione è datata 1982, di autore tedesco) scritta in neanche tre settimane, il drammaturgo si defila in un luogo particolarmente “eremitico”, in assenza di una biblioteca da consultare. In lui, in maniera istintiva, fluisce una fonte creativa, una sorgente, di cui lo stesso autore si sorprende, attraverso la quale viene trascritta, quasi sotto dettatura, tutta la struttura del Parsifal, durante una notte di veglia. Un vero viaggio spirituale, in cui riesce “spogliarsi” di se stesso, delle sue resistenze, estraniato dal mondo reale, dalla sua cronistoria personale.
Un’opera sul mito di Parsifal non era contemplata nei progetti dell’autore, benché questa figura, e tutta l’opera wagneriana, gli fosse vicina per il messaggio intrinseco che racchiude. Tutto ciò che va contro il sistema-mondo attuale gli è fratello e sorella. “Lavorare sul Parsifal è stato andare fortemente controcorrente” – rispetto alle logiche neoliberiste, consumistiche e narcisistiche della società contemporanea. “Un percorso folle” – asserisce lo stesso Filiberti.
Il Parsifal contemporaneo di Filiberti è una figura che sfugge al mito simbolista medievale, un uomo nuovo, senza un passato da ricordare e senza proiezioni sul futuro, che contempla e vive nel presente, che non ha interesse ad essere “qualcuno”, ma solo ciò che le sue azioni compiono nel momento, senza ossessione dell’obiettivo, tipico della infernale civiltà occidentale. La poetica del non-obiettivo è riportata nelle ultime produzioni di Filiberti, una filosofia che viene insegnata anche agli attori e i collaboratori che lavorano con lui – scelti tra persone molto intelligenti – come egli stesso afferma. La sua non è una narrazione filmica per obiettivi, ma analogica. Un modo totalmente nuovo, differente, di lavorare anche per tutti i collaboratori, che si dovranno liberare del loro ego, mettendo in evidenza il loro carisma originario, il loro magnetismo.
Il cinema di Filiberti è rivoluzionario, rispetto alla tradizione, poiché evita di far identificare gli spettatori con i personaggi dei sui film, ed anche delle sue opere teatrali. L’identificazione di se stessi con un interprete, del personaggio che rappresenta, è una condizione statica de l’eroe dentro di noi, che non ha vie di uscita, deve rimanere tale nel suo cliché, potentissimo nel bloccare una possibile l’evoluzione interiore della persona che in ciò si identifica, che non permette di risvegliare dal torpore a cui spinge la società consumistica, fatta di oggetti e di simbolismi ad essi associati, un marchio, un modello di auto, un orologio. Un sistema demoniaco, di suggestione e subordinazione, di legittimizzazione alla sovraproduzione industriale capitalista.
Il rapporto con il “sacro” del regista, dimensione intrinseca storico-mitologica di Parsifal, è molto importante, totalmente connesso al suo lavoro teatrale e cinematografico, attaverso un percorso ideale di ri-sacralizzazione del mondo. Una ferita, una lacerazione, il lamento di un uomo che deve farsi carico del peso delle colpe del mondo.
Filiberti ha una poetica forte e molto originale, convincente, lontana dalle narrazioni mainstream. Lui stesso è determinato a portarla fino in fondo, nonostante possa nuotare controcorrente.
Una sua frase che sintetizza perfettamente il concetto di spogliarsi di se stessi, del proprio ego, per ritrovare la sorgente umana originaria cita: “Dal momento che si perde qualsiai paura, si diventa invincibili”.
Sabato, 24 febbraio 2024 – n°8/2024
In copertina: foto di Carlo Settembrini