lunedì, Dicembre 23, 2024

Italia, Politica

PFAS: la lotta per la salute delle Mamme venete

Veleni chimici assunti attraverso l’acqua potabile e il cibo

di Laura Sestini

In seguito alle pressioni ricevute durante le proteste di poche settimane fa dagli imprenditori agricoli comunitari, l’Unione Europea ha ritirato la proposta di ridurre del 50% l’uso di pesticidi nelle produzioni agricole.

Gli agricoltori di tutti i paesi dell’Unione, con le loro colonnne di trattori che hanno attraversato le più grandi città europee, al posto di aiutare a ri-pulire l’ambiente, hanno reso evidente che fossero più preoccupati di proteggere i loro conti in banca.

E’ un passo indietro eclatante che l’Europa ha compiuto nei confronti dell’Agenda 2030, una decisione che va nella direzione opposta alla necessaria transizione verso un modello agroalimentare sostenibile, posticipata ancora per 10 anni. Paradossalmente gli agricoltori delle migliaia di piccole e piccolissime aziende a livello familiare che sostengono le economie locali europee, sono i primi a subire i danni dei pesticidi chimici sulla loro salute, mentre solo poche multinazionali guadagnano da questi prodotti chimici immensi profitti.

Una determinata battaglia per la salute del territorio e delle proprie famiglie è stata intrapresa da un numeroso gruppo di mamme venete contro i PFAS – sostanze perfluoroalchiliche altamente inquinanti e non degradabili, che, grazie alla scarsa attenzione delle amministrazioni regionali e nazionali passate verso l’ambiente, hanno contaminato numerose falde acquifere della Regione, e più gravemente nelle provincie di Vicenza, Verona e Padova in un’area di 180 chilometri quadrati, 30 comuni, e una popolazione stimata di circa 300 mila abitanti.

In questo caso la responsabilità sull’inquinamento prodotto è dell’azienda chimica Miteni Spa – ex RiMar Chimica Spa fino al 1988 – con sede a Trissino in provincia di Vicenza, che era a conoscenza dell’inquinamento fin dagli inizi degli anni Novanta.

Perché abbiamo tirato in ballo nella questione anche gli agricoltori? I PFAS sono usati nei fertilizzanti a base di fluoro, quindi l’Europa e gli agricoltori hanno lasciato andare una grande occasione di risanamento del suolo comunitario, di cui molte altre aree risultano contaminate.

L’area interassata dalla contaminazione PFAS – Mappa Legambiente Veneto

Dopo vari tentativi di incontro in presenza, siamo entrati in contatto con Giovanna, una sorridente Mamma NoPfas di quattro figli, della provincia di Vicenza.

Come inizia la vostra lotta nei confronti dei PFAS?

Giovanna: – Le prime voci sulla contaminazione delle falde acquifere e conseguentemente dell’acqua potabile, hanno iniziato a girare alla fine del 2013, poiché era uscito uno studio finanziato con fondi europei – affidato in Italia al CNR con Sara Valsecchi e Stefano Polesello – per testare lo stato di salute dei fiumi più grandi d’Europa, quindi anche il Po. I due ricercatori italiani hanno constatato inquinamento da PFAS (PFOA e PFOS) risalendo anche gli affluenti del Po, e individuando la fonte a Trissino, dove risiede la Miteni, indicando l’azienda chimica quale responsabile della contaminazione delle acque indagate, i cui risultati vennero trasferiti al Ministero dell’Ambiente ed anche all’ISS – Istituto Superiore della Sanità. L’ISS, a sua volta ha comunicato i dati alla Regione Veneto, intimandola a porre dei rimedi con il filtraggio delle acque degli acquedotti e altresì a testare la salute dei cittadini. Ahimé, i sindaci e i dirigenti ASL invece di preoccuparsi cercavano di tranquillizzare la popolazione, mentre le organizzazioni ambientaliste avevano accolto lo studio con grande interesse. Noi cittadini eravamo tra le due parti e non ci capivamo nulla, ci sembrava piuttosto una questione politica in cui non avevamo spazio.

Finalmente, all’inizio del 2017 sono iniziate le analisi del sangue, uno screening regionale sulla popolazione dei 15enni, che normalmente venivano accompagnati ai centri di analisi da noi mamme. E’ stato in quel momento che abbiamo preso consapevolezza di ciò che stava accadendo, e ancora oggi portiamo avanti la nostra lotta.

Ad oggi sono passati sette anni precisi da quando abbiamo ricevuto i risultati delle analisi dei nostri figli, che vengono ripetute ogni tre anni. Fortunatamente i livelli di PFOA e PFOS nel sangue stanno diminuendo, e sono a meno della metà dei test iniziali, ma secondo alcuni studi, tra cui quello dei medici ISDE – Associazione Medici per l’Ambiente – non è il tasso di concentrazione che può portare al cancro o altre malattie, ma la persistenza di queste sostanze nel tempo. Quindi, se i nostri figli dopo tutti questi anni le hanno ancora presenti nel sangue, significa che il processo di smaltimento sarà lungo. I nostri figli se ne libereranno a 50 anni, a condizione che non ne vengano più a contatto, ma ciò è praticamente impossibile. Il filtraggio delle acque è tarato ad un zero tecnico, non assoluto, ovvero a quanto realmente la tecnologia riesce a disinquinare le acque. Inoltre noi mangiamo cibi che sono contaminati perchè non esiste una normativa, perché l’acqua di irrigazione o del sottosuolo non è filtrata, a differenza dell’acqua potabile. La Miteni è fallita per bancarotta fraudolenta, per avvelenamento di acque, disastro ambientale innominato, il più grande in Europa, gestione di rifuti non autorizzata e inquinamento ambientale – ma non è stata messa in sicurezza e continua ad inquinare.

Genitori e figli No-PFAS

Cosa comporta per la salute avere alte concentrazioni di PFAS nel sangue?

G.: -Tanti dei nostri figli riportano delle malformazioni, ma nessuno dice che sia a causa dei PFAS, che c’è correlazione. Eppure non c’è neanche qualcuno che dica il contrario. La politica sta nel mezzo senza cercare le cause, fare ricerca sul caso. Stiamo parlando di vite umane, di bambini che diverranno adolescenti e poi adulti. Se sono adulti malati, in primis non saranno persone felici, e poi saranno un costo anche per la società, un peso, un soggetto “non spendibile” economicamente. Il valore della salute è primario nella persona. Si dovrebbe fare prevenzione, una parola che sentiamo molto lontana dalle azioni, che dovrebbe essere esercitata anche nei principi di precauzione.

Come agiscono le Mamme NoPfas contro l’inquinamento ambientale che si ripercuote nella salute dei cittadini?

G.: – Subito vorrei precisare che noi Mamme siamo un gruppo libero e non una associazione costituita, come sarebbe più facile pensare. Ne abbiamo molto discusso, superato gli ostacoli entro il gruppo ed alla fine la nostra idea si fonda proprio sul fatto che essere madri valga più di una associazione, un’identità naturalmente costituita anche senza riconoscimenti burocratici. Mamme che si prendono cura dei propri figli e, semplicemente, devono essere rispettate e ascoltate in questo ruolo. C’era qualcosa che non andava, quindi era necessario capire il perché e cercare delle soluzioni in collaborazione con chi ha potere di indagare ed eventualmente di metterle in atto. Per accedere agli atti la legge prescrive di identificare le persone entro una struttura associativa, ma doverci identificare in “altro” oltre al fatto di essere libere cittadine che vogliono far valere i propri diritti ci sembrava una stortura. Quindi siamo un gruppo informale, ma che agisce per degli obiettivi ben precisi, ovvero il diritto/dovere di genitori che proteggono i propri figli. Non volevamo che come mamme venissimo denigrate, declassificate a mamme che si allarmano. Ed anzi, anche chi non fosse stata mamma biologica, la ritenevamo una doppia mamma, poichè si prende cura di un figlio che non ha cresciuto nel proprio grembo ma sceglie di farlo: per noi un grande valore. La società, la politica, le istituzioni al contrario non danno valore al ruolo della mamma. La nostra lotta è iniziata da queste riflessioni, per far vedere chi siamo, perché le istituzioni ci hanno dimenticato sperando che ci si accontenti solo di cucinare, cambiare, cullare, rassenerare ed educare i nostri bambini entro le mura domestiche. Invece i nostri figli li vogliamo educare alla vita, che va vissuta accogliendo le sfide e le difficoltà, consapevoli, noi, di aver fatto cosa ci competesse, in maniera sincera e in pace con noi stesse.

Avere la consapevolezza che il sangue dei nostri figli era avvelenato fin dalla nascita, per noi è stata una questione forte, una fatica immane da affrontare. Figli che hanno disagi di salute e tu, mamma, che cerchi di aiutarli. Se loro, i figli, si sono ritrovati nel sangue questa sostanza chimica che non esiste in natura, gli PFAS, senza sapere da dove arrivasse, a noi genitori tutto ciò ci ha dato la dimensione dell’inquinamento circostante. La dispersione di questo veleno era così ampia e profonda che era entrato nel sangue dei nostri figli. Quando poi abbiamo saputo il valore del veleno nel sangue di noi genitori è stato un duro colpo. I nostri figli ne avevano più del doppio rispetto a noi adulti. Glielo avevamo passato noi mamme durante la gravidanza e l’allattamento, ma anche i padri attraverso gli spermatozoi. Io ho quattro figli, quindi allattando mi sono “liberata” inconsapevolmente del mio veleno. Con la crescita i bambini hanno continuato ad acquisirli come gli adulti, attraverso la normale alimentazione, cosicché negli anni le concentrazioni nel sangue sono aumentate.

Quando abbiamo ricevuto i valori di concentrazione dei PFAS dalle analisi del sangue, avevamo due possibili scelte: affrontare questa sfida e quindi essere mamme che lottano per la propria salute e quella dei propri figli, oppure essere mamme che si rassegnano, impotenti davanti ai loro fornelli o ai piatti da lavare. Le mamme più combattive sono riuscite a coinvolgere le madri più timide che, anche se non sono presenti attivamente, si sentono comunque rappresentate. Non c’è bisogno di avere la tessera di una associazione per essere presenti o rappresentate, per questo abbiamo rifiutato la struttura associativa.

Un valore che noi vogliamo portare avanti, anche da trasferire ai nostri figli, è poter affermare “non sei solo”. Ci sono tantissime associazioni ambientaliste, bisogna fare Rete. Dividersi magari i compiti, ma perseguire lo stesso obiettivo, ognuo con le proprie diversità. Quando noi abbiamo avuto la consapevolezza di cosa stesse succedendo, le organizzazioni ambientaliste già ne parlavano da tempo e noi abbiamo realizzato che non le avevamo mai ascoltate finchè nella questione non ci siamo caduti dentro personalmente. Avevamo sbagliato. Greenpeace, Legambiente, Italia nostra, Acqua Bene Comune, PfasLand, ecc. denunciavano i fatti, i nostri sindaci invece ci tradivano. Una volta dentro la Rete, abbiamo dovuto trovare dei punti di accordo, con una fatica grande, non eravamo abituate a queste situazioni noi mamme, ma non ci siamo demoralizzate e stiamo facendo la nostra parte. Abbiamo anche cercato di dialogare con gli agricoltori: invece di protestare per mantenere i pesticidi in agricoltura, chiedete/chiediamo sostanze meno impattanti per la salute, cerchiamo di proteggere i nostri prodotti agricoli. Voi custodi della terra dovreste essere i primi a ribellarvi all’agricoltura tradizionale e neoliberista. Le organizzazioni nazionali degli agricoltori sono anche un ostacolo.

Questa lotta ci ha molto cambiato, abbiamo acquisito una forza positiva di cui essere molto fiere di noi stesse. Abbiamo imparato l’ascolto, il rispetto, la perseveranza. La politica, all’opposto, è dibattuta da dinamiche entro se stessa ed ha come valore di riferimento solo quello economico, imponendolo come unico modo, con ricatto, contro la salute pubblica. I PFAS non sono gli unici agenti inquinanti sul territorio, ma intanto lavoriamo su questi, diamo l’esempio, e forse altre persone attiveranno altre lotte. Noi andiamo avanti dimostrando la verità con i valori dei PFAS concentrati nel sangue dei nostri figli, rilasciati dalle Asl, che portiamo scritti nelle t-shirt. Nessuno ci può dar contro, non siamo mamme allarmiste. La nostra determinazione, la nostra continua presenza, le nostre azioni incalzanti, alla fine hanno ottenuto dei risultati e il gruppo ha avuto accesso ai documenti che servivano per avviare fattivamente la battaglia.

Molta speranza ce la danno i giovani, quando andiamo nelle scuole a riflettere sulle cause dell’inquinamento, attraverso un progetto dove è presente anche un medico ISDE e un geologo, professionisti in pensione che si prestano agli incontri con gli studenti delle scuole medie e superiori, ed anche universitari, di cui molti hanno fatto tesi di laurea, attingendo dall’argomento. Anche molti professori universitari si sono avvicinati a noi mamme e ci stanno aiutando per stilare documenti di vario tipo, utili alla nostre istanze. Stiamo lavorando su una legge specifica, e anche pensiamo ad un piano di bonifica.

In forza della verità di quello che è successo, trascritta nelle nostre magliette, raccontiamo e chiediamo che questo non riaccada. Sarebbe comodo non interessarsi, ma ognuno invece deve fare la sua parte. Scegliere di essere il costruttore di un mondo migliore. Andare nelle scuole a raccontare è molto bello, i ragazzi sono molto interessati, anche perchè usiamo un “linguaggio da mamme”, semplice. Abbiamo anche un progetto che coinvolge i genitori degli studenti più giovani. Inoltre facciamo parte della Rete “Mamme da nord a sud”, 32 gruppi e associazioni di mamme che si occupano di ambiente, un’idea nata dalle mamme di Taranto che si battono contro l’inquinamento generato da ILVA. Sulla rete delle mamme è stato anche realizzato un libro, Mamme ribelli, di Linda Maggioni, anche lei mamma impegnata nel suo territorio.

Genitori e figli No Pfas in udienza al Tribunale di Vicenza

Contro Miteni è in corso un processo, le Mamme NoPfas che ruolo svolgono? Tra gli imputati risultano dei giapponesi?

G.: -Sì, il maxi-processo contro Miteni è stato avviato da un esposto, noi famiglie ci siamo costituite parte civile; tra i 15 imputati ci sono anche dei giapponesi, poiché dal 1996 la proprietà era passata a Mitsubishi. Miteni ha inquinato perché non esisteva una normativa precisa ed era permesso. Infatti la loro difesa, in tribunale, batte molto su questo motivo. Nessuno gli aveva detto che non potevano riversare le acque reflue di lavorazione chimica direttamente nei fiumi, e d’altronde le autorità avevano firmato le autorizzazioni per le attività dell’azienda. Come abbiamo visto il danno non è dovuto alle alte concentrazioni di sostanze PFAS nel sangue, quanto alla loro persistenza temporale. Infatti gli operai di Miteni hanno avuto un riconoscimento da INAIL per la persistenza delle molecole nel loro corpo; in realtà un riconoscimento molto basso, non di malattia professionale. Questo è un primo punto a nostro favore come popolazione civile, ma in seguito i dipendenti sono stati estromessi dal processo, in quanto il PM ha sostenuto che non avessero evidenza di malattie in corso correlate al PFOA, la molecola che anche noi abbiamo più alta nel sangue, e per cui stiamo pregando che i nostri figli non si ammalino. Gli operai avevano percentuali anche più alte dei nostri figli, ma negli anni erano stati seguiti da un medico in azienda, non sappiamo se consapevole o meno, lo vedremo con il processo.

I nostri figli è come se avessero lavorato in quell’azienda, ma non erano seguiti da nessuno, neanche dopo gli esiti delle analisi. Anche i pediatri sminuivano la problematica, perché non ne sapevano nulla. Un altro paradosso è che queste molecole sono testate solo dai laboratori di medicina del lavoro, solo su richiesta dei medici delle aziende, e catalogate rischiose solo in precisi settori. Quindi un problema inquadrato solo in ambito del lavoro, e non della cittadinanza tutta. Neanche noi possiamo accedere liberamente alle analisi, neanche di tasca propria, ma solo quando ci chiamano.

Come agiscono le istituzioni, Regione e amministrazioni locali, in questo contesto?

G.: – Le istituzioni a suo tempo avevano firmato le autorizzazioni per la produzione chimica di Miteni e, come ho già riportato, all’inizio della questione, di fronte al report di CNR hanno tradito la popolazione cercando di sminuire il problema. Oggi, province, Regione, Arpa e Comuni sono al nostro fianco – siamo 180 tra genitori e figli – nel processo penale in corso; si sono costituiti come parte civile, ma Miteni non è ancora stata messa in sicurezza. Quindi non solo responsabili i gli amministratori di 30 anni fa, ma anche quelli di 10 anni fa e quelli attuali, con la giustificazione che il terreno dove poggia Miteni non è proprietà dello Stato. Pare che l’area debba diventare un SIN – Sito di interesse nazionale. Questo avviene per quei siti cosiddetti “orfani” di cui nessuno si prende cura. In realtà il sito Miteni non è orfano, è proprietà di ICIG – International Chemical Investors Group – che insieme a vecchie proprietà di cui fa parte anche ENI, si stanno occupando della bonifica, ma in maniera molto, molto blanda. In questo momento, se intervenisse la Regione Veneto o il Comune di Trissino, il sindaco o il presidente Zaia potrebbero essere accusati dalla Corte dei Conti di sperpero di denaro pubblico, perché interverrebbero in una proprietà privata, un’operazione non vantaggiosa per lo Stato.

(In un articolo del 2023, la collega Laura Fazzini scrive […] l’ultimo amministratore delegato di Miteni SPA – Antonio Alfiero Nardone – nel 2016 ha incassato per conto dell’azienda un acconto di oltre 527mila Euro dalla compagnia assicurativa Allianz Global Corporate Speciality SE, premio di una polizza che copriva da eventuali rischi ambientali. […] Negli anni 2016 e 2017 MIteni accantona in bilancio rispettivamente 320 mila e 260 mila Euro destinati alla bonifca ambientale, voce che nel 2018 scompare […] – ndg).

Nel frattempo si permette da 10 anni di far uscire le molecole inquinanti e non degradabili dalla fabbrica dismessa. Le istituzioni affermano che quella non è casa loro, è proprietà privata della ex-Miteni, e non possono fare nulla. Perché allora non si accelera il processo? L’inquinamento procurato da Miteni è un grave pericolo sanitario per la popolazione, la proprietà attende l’esito del processo e nel frattempo non se ne interessa. Finora il PFOA veniva definito non cangerogeno, ma la smentita definitiva è giunta tre mesi fa: il PFOA è palesemente cancerogeno. Negli Usa, la multinazionale Dupont, costretta dagli evidenti risultati di studi specifici e dalla legge, lo aveva messo fuori produzione già nel 2006. Da noi è giudicato solo disperso nel terreno, non più prodotto, in quanto Miteni è chiusa.

Quanto è cancerogeno il PFOA? A nessuno viene desiderio di attivare uno studio. Per noi cittadini, questi meccanismi politico-amministrativi sono difficili da comprendere, specialmente se ad essere danneggiato è il bene più prezioso, la salute.

Per approfondire: https://www.theblackcoffee.eu/cosa-sono-i-pfas/

https://www.mammenopfas.org

Sabato, 16 marzo 2024 – Anno IV – n°11/2024

In copertina: una manifestazione vicentina per la tutela della salute pubblica. Tutte le foto sono fornite da Mamme NoPfas

Condividi su: