Vizi e fortuna di una monarchia del XXI secolo
di Laura Sestini
L’Arabia Saudita è il maggiore produttore di petrolio al mondo e, da quando il comparto idrocarburi è entrato in crisi a seguito della pandemia da Covid-19, è stato tra i Paesi protagonisti (anche in negativo, ma rientra nei ruoli) del calo dei prezzi del greggio, che a marzo è sceso fino a -37 dollari al barile per il Wti texano, ma anche in altri Paesi (pensiamo al petrolio russo Urals quotato, a parità di peso, quanto il prezzo del grano) non è andato molto meglio.
Inoltre, a metà aprile, si è finalmente trovato l’accordo sul taglio alla produzione, dopo le tensioni tra la Russia, il maggiore produttore non-Opec, e l’erede al trono saudita – e Primo Vice Primo Ministro – Mohamed Bin Salmān, grazie alla mediazione statunitense, interessata a proteggere il proprio mercato petrolifero interno.
L’Arabia Saudita è il più importante tra i membri Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries), cioè tra i maggiori produttori di petrolio, detenendo circa il 25% del prodotto mondiale e anche ampie riserve di gas naturale.
Con la crisi economica globale e il fermo della maggioranza dei trasporti, dovuto alla pandemia, il cui utilizzo dei prodotti petroliferi a livello mondiale risulta essere 2/3 del totale, e all’interno del quale circa il 10% è utilizzato per il trasporto aereo, le scorte estratte sono arrivate in breve alla saturazione – causando molti problemi, per l’effettivo stoccaggio, soprattutto per quei Paesi che hanno lunghe distanze per raggiungere la costa, e per l’utilizzo delle petroliere, ferme nei porti, come container.
I Paesi produttori si erano incontrati in seduta straordinaria a inizio marzo per decidere il taglio alla produzione, non trovandosi però d’accordo sulla proposta russa di diminuzione di 1.500.000 barili al giorno da suddividere tra paesi Opec e non-Opec (sugli abituali 100 milioni estratti quotidianamente prima della diffusione del virus). Da allora è iniziata la discesa in picchiata del prezzo che non ha trovato freno fino a metà aprile, quando è stato siglato un accordo sul taglio di 9.700.000 barili al giorno per maggio e giugno.
Nonostante ciò il prezzo al barile rimane oscillante verso il basso, anche a causa delle ultime provocazioni del Presidente statunitense Trump nei confronti della Cina, che viene indicata come l’untore del virus, e alle problematiche rimaste insolute relative allo stoccaggio del petrolio invenduto.
A questo punto è d’obbligo chiedersi come si sia creato l’imbarazzante disaccordo tra i Paesi produttori, che ha poi lasciato in mano ai mercati finanziari il prezzo del petrolio per quasi un mese, creando perdite di milioni di dollari a quegli stessi Paesi. Oltre che un ribasso di tutte le borse a livello globale.
Alla seduta straordinaria del 6 marzo, la Russia – come succitato – proponeva la diminuzione di un milione di barili giornalieri per i Paesi Opec e 500.000 barili per quelli non-Opec. Alla proposta di Putin, il Primo ministro saudita Mohammad Bin Salmān (MbS) rispondeva negativamente. Reagiva anzi con stizza, rilanciando – al contrario – con la proposta di un aumento dell’estrazione dell’Arabia Saudita, attingendo alla possibilità delle sue riserve di prelievo, che hanno un potenziale fino a 2.500.000 barili extra al giorno.
Senza voler attribuire la responsabilità a MbS per ciò che è successo in seguito alla sua provocazione nei confronti della Russia, poiché le strategie finanziarie sono senz’altro scommesse molto più raffinate, alle quali i grandi poteri economici posso certamente puntare per sfidarsi, partiamo da questa crisi petrolifera per ampliare lo sguardo sul Regno dell’Arabia Saudita, un Paese protagonista sulla scena mondiale da poco più di 80 anni, ovvero da quando – nel 1938 – è stata scoperta l’attuale sorgente della propria ricchezza, sotto la sabbia del deserto che ricopre la maggioranza del suo territorio nazionale.
L’economia del Paese dipende al 75% dalle esportazioni dell’oro nero – che risultano essere oltre il 90% del totale dell’export e valere per il 40% del Pil nazionale. Una risorsa naturale che ha permesso all’Arabia Saudita di diventare uno tra gli Stati più ricchi al mondo.
Il Regno Saudita nasce nel 1932, riconosciuto dalla Gran Bretagna prima, e subito dopo da altre nazioni europee, in seguito alla vittoria bellica, e all’annessione, da parte dell’allora Sultano Abd al-Azīz Āl Saʿūd (nonno di MbS), del Regno dell’Hijaz, che deteneva una parte della penisola arabica.
Il giovane principe ereditario Mohammad bin Salmān, figlio dell’attuale regnante Salmān bin Abd al-Azīz Āl Saʿūd, ha ricevuto l’incarico di Primo Vice Primo Ministro e Ministro della Difesa a giugno 2017, oltre a erede apparente al trono, e durante i tre anni in carica ha già ampiamente dimostrato una personalità determinata e dato una forte impronta all’indirizzo politico interno ed estero che intende tenere per la conduzione del Regno. Ricopre inoltre la carica di Presidente del Consiglio degli Affari economici e dello Sviluppo e risulta essere il più giovane Ministro della Difesa al mondo.
L’ascesa alle cariche statali di MbS, come da tradizione della famiglia reale, inizia poco dopo il ventesimo anno d’età. In 14 anni, l’erede al trono, che ne ha 34 compiuti (sposato e con 4 figli), ha già indossato le vesti di numerosi Vice-vice-ruoli statali significativi e ha ricoperto incarichi come consigliere del padre.
Ma la vera opportunità è giunta – inaspettatamente – quando i fratellastri del padre, due principi successori al trono per linea genealogica, sono scomparsi per cause dovute all’età e, nel 2015, è salito al trono proprio il padre Salmān. Fino a quel momento MbS non appariva come un giovane destinato alla guida del Paese ma, con l’occasione e l’abilità, ha convinto il sovrano, suo padre, ad allearsi con il nipote principe ereditario al trono, Muhammad bin Nayef (MbN), uomo dal carattere più moderato – e tra i sauditi preferiti dalla Casa Bianca. Nel 2017, insieme a tutte le altre cariche statali ricevute, MbS è stato, in più, nominato Vice Principe ereditario.
Questa alleanza ‘indotta’ del Re saudita Salmān con il nipote MbN, che odora di complotto, ha sostanzialmente cambiato le modalità di governo del Paese, che consegnano la maggior parte dei poteri proprio a MbS, estromettendo le forze esterne che precedentemente ne facevano parte, compresa la componente religiosa, e di fatto togliendo di mano il potere al cugino MbN.
Inoltre, Mohammad Bin Salmān, asserendo essere sua opinione che i fondamentalismi islamici – con sua particolare avversione all’Iran, maggiore Paese di corrente islamico-sciita al mondo, al contrario dell’Arabia Saudita di corrente sunnita wahhabita – concorrono al terrorismo di Stato, si è coalizzato con il principe ereditario di Abu Dhabi (EAU), Mohammed bin Zayed (MbZ), che lo sostiene nell’azione contro l’erede al trono saudita MbN, in quello che qualcuno ha definito un vero e proprio colpo di stato.
La linea di successione in Arabia Saudita non ha un ordine predefinito, ed è il sovrano – detentore assoluto del potere – che designa l’erede al trono. Le cariche politiche più importanti di ministro vanno poi in mano ai principi ereditari, nomina, quella di principessa e principe, acquisita per diritto di nascita, secondo l’albero genealogico della famiglia al-Saud. La famiglia-clan al-Saud è molto numerosa – con molti livelli di parentela.
Un gruppo che conta circa 15.000 membri.
Attualmente la ‘famiglia’ di Re Salmān è al quarto posto al mondo per ricchezza, calcolata in 100 miliardi di dollari solo per le riserve petrolifere, e di gran lunga superiore grazie a tutti gli investimenti in mano alla dinastia. Ma come dice un vecchio proverbio ‘la ricchezza non fa la felicità’, tantoché, durante i mesi della pandemia, circa 150 membri della famiglia reale sono risultati positivi al Covid-19, e un anziano principe ha dovuto usufruire della terapia intensiva nell’esclusivo King Faisal Specialist Hospital di Riyadh, riservato alla famiglia reale.
Nel Regno risultano oltre 27.000 casi positivi, con 184 morti (3 maggio) – contagi che riguardano per l’81% cittadini stranieri – il cui numero nel Paese è particolarmente ingente – giunti in maggioranza come manodopera, in special modo dal Nord Africa, dall’Estremo Oriente, dal Pakistan e dall’India.
Il lockdown da pandemia ha procurato non pochi problemi al Paese arabo – come del resto ovunque – che ha messo in programma un piano economico-sociale a sostegno delle centinaia di migliaia di stranieri fermi dal lavoro e delle aziende private, con la promessa di elargire il 60% degli stipendi, allo scopo di mantenere la stabilità sociale e non creare malcontento; il piano, però, stenta a prendere avvio per la ristrettezza delle casse statali che – al momento – non usufruiscono più delle miliardarie entrare dovute al petrolio, venduto attualmente a 1/3 del break given point – il punto di pareggio economico del settore petrolifero saudita, che necessita di un prezzo al barile di circa 60 dollari per non andare in perdita.
Finora, le vaste entrate economiche dell’esportazione del greggio hanno permesso al Primo Vice Ministro MbS di progettare e operare grandi investimenti economici lungimiranti, quegli stessi che gli hanno permesso di ricevere elogi e consenso tra la gioventù saudita, in modo di rendere il Paese indipendente dal legame economico con il petrolio, cedendo anche a privati una parte dell’Aramco, compagnia reale che gestisce i pozzi petroliferi e le riserve di gas naturale.
Saudi Vision 2030 è il progetto a lungo termine, lanciato nel 2018, che prevede grandi investimenti nelle energie rinnovabili, compresa la costruzione di due centrali nucleari, delle quali per la prima sono da poco iniziati i lavori, e la costruzione di Neom, una nuova città sulle coste del Mar Rosso, ipertecnologica e vasta oltre 30 volte New York, con un investimento, per quest’ultima, da 500 miliardi di dollari. Attualmente, però, la super automatizzata e surreale Neom, ha subìto un forte freno e si allontana sempre di più dagli orizzonti principeschi.
Dai programmi di ammodernamento del Paese di MbS, scaturisce anche la volontà di liberarlo dal conservatorismo religioso, un’attestazione che ha dato subito effetti negativi creando divisioni nei Paesi del Golfo, soprattutto riguardo all’ostilità di MbS verso l’Iran, ma che lo combina bene con gli statunitensi con i quali condivide lo stesso nemico.
Uno tra i principali partner economici dell’Arabia Saudita è la Cina, che assorbe il 10% degli acquisti di petrolio e che, con la salita al trono del sovrano Salmān, ha siglato con la famiglia reale una partnership strategica – per centinaia di miliardi di dollari – che abbraccia trasversalmente il settore spaziale, militare, energetico, di monitoraggio stradale, di rete wireless di nuova generazione 5G con il marchio Huawei, il quale, a sua volta, ha ricambiato scegliendo Zain Ksa, tra i maggiori operatori di telecomunicazioni in Medio Oriente, e primo in Arabia, come partner nelle nuove reti anche in Nord Africa.
La nuova Via della Seta cinese passa dall’Arabia e dal Medio Oriente, generando anche esercitazioni militari congiunte sul Mar Rosso, per stringere maggiormente il legame economico e la fiducia reciproca tra i due giganti mondiali.
Mohammad Bin Salmān non ama essere criticato nelle decisioni di Stato e non usa mezzi termini per affermare il suo potere e liberare la strada al trono tanto che, all’inizio di marzo, ha fatto arrestare tre stretti parenti della famiglia reale, prelevati senza una spiegazione da uomini mascherati, accusandoli poi di tradimento e tentato colpo di stato. Si tratta, nello specifico, di uno zio, il fratello minore del sovrano saudita, del cugino MbN, ex Ministro dell’interno – uomo politico abituato a un comportamento più malleabile, e a parlare con i media, rispetto ai rigori di corte, oltre a un altro cugino reale. MsN aveva già subito un primo arresto, insieme ad altri parenti e uomini d’affari, su ordine di MbS, nel 2017. I detenuti, allora, vennero tenuti tutti agli arresti domiciliari presso l’Hotel Ritz di Riyadh.
MbS non è nuovo a tali comportamenti e rimane anche l’unico sospetto mandante del presunto omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi – esule volontario negli Stati Uniti – editorialista presso il Washington Post e molto critico nei confronti delle azioni del Primo Ministro saudita. Dell’uomo, scomparso a ottobre 2018 nell’Ambasciata saudita di Istanbul, non si è più trovata traccia, e si avanza l’ipotesi che sia stato sciolto in bidoni di acido, già pronti all’uso nelle stanze segrete dell’edificio diplomatico.
L’uso dell’acido nitrico per l’eliminazione di ogni traccia del corpo delle vittime di omicidio non è certo una novità: in Italia – ma è possibile immaginare sia accaduto anche in altri casi e luoghi non emersi alle cronache – nel 1996, attraverso le mani di Giovanni Brusca, esponente di rilievo di una cosca mafiosa siciliana, per ritorsione verso un collaboratore di giustizia ex-membro dello stesso clan, ne sciolse nell’acido il corpo del figlio quindicenne Giuseppe Di Matteo, precedentemente rapito e segregato per due anni, e morto strangolato. L’orrore dell’azione criminale fece il giro del mondo e confermò l’incrinatura delle ferree regole mafiose che fino ad allora escludevano i bambini dalle violenze.
Per il presunto omicidio di Khashoggi sono stati condannati a morte, a dicembre 2019, cinque dipendenti statali sauditi, con esclusione dal processo del capo dei servizi segreti e dell’ex consigliere del principe ereditario, tanto che la Cia e la stampa Usa hanno elaborato una teoria su come siano andate effettivamente le cose. Secondo l’agenzia di intelligence americana, sarebbe coinvolto il fratello di MbS (speriamo ignaro delle conseguenze del compito che gli era stato commissionato), che avrebbe consigliato a Khashoggi di andare a ritirare i documenti per il prossimo matrimonio con Hatice Cengiz, presso l’Ambasciata saudita a Istanbul.
I condannati potrebbero risultare una copertura, per l’opinione pubblica, dei reali mandanti ed esecutori che, insieme al diniego riguardo a un’indagine esterna alla giustizia saudita e alla mancata trasparenza verso il resto del mondo, non hanno fatto altro che rafforzare le tesi di omicidio premeditato su mandato di MbS.
Inoltre, oltre ai succitati arrestati politici, risulta essere stata prelevata da casa anche la principessa Basmah bint Saud bin Abdulaziz al-Saud, cugina anch’ella di MbS, che ha denunciato attraverso un tweet di essere detenuta nella prigione di al-Ha’ir senza motivo. La principessa lavora come avvocatessa ed è un’attivista per i diritti umani che più volte ha criticato la guerra contro lo Yemen, portata avanti da MbS come Presidente del Consiglio di Sicurezza e tra i comandanti dell’operazione Tempesta decisiva.
Il conflitto con lo Yemen dura da sei anni, durante i quali il principe saudita non ha mai accettato di fermare gli attacchi e il potente embargo che vieta anche l’entrata dei beni di sostentamento alla popolazione, con migliaia di decessi di bambini per malnutrizione, oltre che per le bombe. Una guerra che ha visto temporaneamente il cessare degli scontri, solo per la sopravvenuta pandemia.
Nella politica interna, il principe saudita si apre alla modernizzazione, per allinearsi almeno un minimo al resto del mondo. Difatti, a giugno 2018, si sblocca la questione della patente di guida alle donne, che adesso possono ottenerla con il consenso degli uomini della famiglia; ma allo stesso tempo, verosimilmente per pareggiare il conto con qualche critica dall’ala politica più conservatrice, vengono arrestate delle giovani attiviste che avevano in precedenza manifestato il loro dissenso contro il divieto alle donne di guidare l’auto.
Alla recente abolizione della fustigazione, come condanna aggiuntiva di alcuni reati, lo scorso aprile sopraggiunge anche l’abolizione della pena di morte per i minorenni, pena capitale per la quale l’Arabia Saudita detiene un triste primato con 184 giustiziati nel 2019, dato in crescita, tra i quali tre minorenni.
Concludiamo qui la panoramica sull’Arabia Saudita , un Paese ricco – crisi petrolifera permettendo – che ha grande influenza sia economica che politica a livello globale, ma innanzitutto sui Paesi del Golfo e quelli islamici in generale. Ricordiamo che Maometto nacque a Medina, città saudita, che congiuntamente a La Mecca, sono le due maggiori città sante dell’Islam al mondo e attirano milioni di fedeli ogni anno.
Dall’Arabia Saudita non giungono notizie migliori, purtroppo, ma i tempi si stanno dimostrando duri e delicati, clamorosamente e inaspettatamente, anche per i membri del Regno e chissà se, in questa situazione di stallo economico, che lascia in standby numerosi progetti e produce molte incertezze, non sopraggiunga una qualche riflessione che susciti un animo più umano anche in una monarchia assoluta come quella saudita.
In copertina: la promozione pubblicitaria per la nuova ipertecnologica città di Neom.