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Italia, Politica

Quanta ingiustizia in nome della legge

Tra lentezza ed errori clamorosi in carcere quasi 1000 innocenti all’anno

di Elio Sgandurra

In Italia dal 1991 al 2020, sono stati 29.659 i casi di errori giudiziari che hanno costretto al carcere cittadini che dopo anni sono risultati innocenti. Uomini prelevati dalle loro abitazioni – spesso di notte – sottratti alle mogli, ai figli, trattati come criminali e a volte all’oscuro delle ragioni del loro arresto. Quasi 30 mila esseri umani privati ingiustamente della libertà e alla fine, dopo un lungo calvario e un lento percorso giudiziario, rimandati a casa “per non aver commesso il fatto”.

Prima del 1988 – anno in cui fu varata la legge che risarciva le vittime di questi errori – il recluso innocente ottenuta la libertà, non riceveva nemmeno le scuse da quel potere giudiziario che lo aveva tenuto in carcere. A volte qualche giornale pubblicava un breve articolo sulla sua ingiusta detenzione. E alcuni – riconosciuti innocenti – hanno dovuto pagare anche le spese di mantenimento tra le quattro mura. Dall’ 88 in poi lo Stato ha speso nei risarcimenti la somma di 870 milioni di Euro.

L’ultimo caso che ha destato clamore è quello di Rocco Femia – 52 anni. Quando era sindaco di Gioiosa Marina – in Calabria – venne prelevato dalla sua abitazione la notte del 3 maggio 2011 con l’accusa di appartenere a una cosca mafiosa, quella dei Mazzaferro. Era stato inserito in una retata disposta dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, magistrato che da anni combatte contro la ‘ndrangheta.

Ha trascorso 5 anni in carcere dichiarandosi sempre innocente. Alla fine dopo i processi di primo e secondo grado e le enormi spese per gli avvocati difensori, la Cassazione ha smontato una per una le accuse ed è stato assolto “per non aver commesso il fatto”.

Mimmo Lucano – ex sindaco di Riace – è stato condannato dalla Corte d’assise a 13 anni di carcere. Non per mafia, ma per aver gestito male l’accoglienza a gruppi di immigrati. Se n’è parlato nel numero precedente di questo giornale e ora si attende la motivazione della sentenza.

Torniamo indietro nel tempo per ricordare altri episodi più noti. Si potrebbe partire dall’attentato di piazza Fontana a Milano del 1969. Il “colpevole” – anzi il “mostro” – fu trovato due giorni dopo nella persona di Pietro Valpreda, un ballerino anarchico, risultato poi innocente. Ma era rimasto in carcere per tre anni aggrovigliato nelle reti della Giustizia e per farlo uscire il Parlamento aveva varato una apposita legge.

Negli stessi giorni della bomba, un altro anarchico milanese Giuseppe Pinelli – una persona pacifica – fu “invitato” in Questura per dei “chiarimenti”. Venne trattenuto per tre giorni e non tornò più a casa perché precipitò da una finestra del palazzo. In un primo tempo la versione ufficiale fu che si era suicidato, ma la sua morte è rimasta un mistero. La magistratura aveva aperto un’inchiesta senza mai arrivare a una conclusione definitiva. Era certo però che secondo la legge non poteva essere trattenuto senza una accusa per quei tre lunghi giorni. Nessuno ha mai pagato per quella strana morte.

Arriviamo a Enzo Tortora, il noto presentatore della TV di Stato, arrestato su ordine della Procura di Napoli il 17 giugno del 1983. Il suo fu un caso clamoroso di malagiustizia: coinvolto in una maxi-inchiesta sulla camorra venne tenuto in carcere per sette mesi, poi messo in libertà provvisoria e condannato l’anno dopo in Assise a dieci anni di prigione ritenuto colpevole di “associazione camorristica e traffico di droga”. Nella sua arringa il Pubblico ministero Diego Marmo, lo definì un “cinico mercante di morte eletto con i voti della camorra”. Nel frattempo Tortora era stato eletto deputato per il Partito radicale.

Molti giornalisti italiani – tra i quali Enzo Biagi e Indro Montanelli – presero le sue difese rischiando anche di essere incriminati dai magistrati napoletani. Nel 1987, in Appello e in Cassazione Tortora venne assolto definitivamente. Morì l’anno dopo per un tumore.

Le accuse contro di lui erano state mosse a caso da un camorrista pentito, un certo Gianni Melluso con la speranza di una riduzione di pena. Quando questi uscì dal carcere chiese perdono alla famiglia Tortora affermando di essersi inventato tutto. Ma alla Procura di Napoli gli avevano creduto senza però far eseguire controlli bancari, pedinamenti o intercettazioni sull’accusato.

Nessun di quei magistrati ha subìto azioni disciplinari da parte del CSM, il Consiglio Superiore della Magistratura. Hanno fatto tutti carriera e il Pubblico ministero Diego Marmo, una volta in pensione è stato nominato assessore alla Legalità del Comune di Pompei.

Per un comune cittadino la magistratura italiana è come un muro impenetrabile da temere, costituito da una casta chiusa di giudici. Manca la fiducia nel valore della Giustizia come istituzione fondamentale della società. La Costituzione aveva previsto una legge nuova e moderna, ma i poteri legislativi hanno sempre rinviato una riforma organica dell’ordine giudiziario. Non bisogna dimenticare che nell’Italia democratica il diritto penale si basa ancora sul codice Rocco, redatto dall’omonimo ministro della Giustizia durante la dittatura fascista.

Sabato, 16 ottobre 2021 – n°38/2021

In copertina: l’arresto di Enzo Tortora – foto di repertorio

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