giovedì, Novembre 21, 2024

Notizie dal mondo

Ricetta per una rivoluzione

Reportage dalla Grecia

di Francesco Chiaro

Correva l’anno 1973, erano in pochi a sapere che di lì a poco, la Dittatura dei colonnelli instaurata il 21 aprile 1967 con un colpo di Stato che aveva soppresso il governo di centrosinistra eletto democraticamente, sarebbe volta al suo termine. Di certo, però, c’era che, da tre giorni (14 novembre), gli studenti greci avevano dato inizio a una protesta contro la cosiddetta Giunta militare, guidata da Georgios Papadopoulos, occupando l’università politecnica di Atene e chiamando a raccolta tutti i giovani e gli operai stanchi di quei sei anni di repressione fascista; anni di arresti e deportazioni, di abolizioni delle libertà politiche e civili, di esili.

Abbarbicati dentro il Politecnico, i manifestanti non cedettero alle intimazioni dell’esercito, il quale rispose al fuoco della rivolta con quello delle armi. Il 17 novembre di 47 anni fa, un carrarmato Amx-30 strappò il cancello dai suoi cardini e travolse chiunque si trovasse nelle vicinanze. Il numero delle vittime di quegli scontri si fermò a ventiquattro, tra cui un bambino di cinque anni e un civile, freddato dai militari mentre transitava al di fuori del palazzo della facoltà. Il numero dei feriti, degli arrestati e di quelli successivamente torturati nelle prigioni della polizia greca fu molto più alto. Il generale Dimitrios Ioannidis, facendo leva su quel bagno di sangue, depose Papadopoulos, dando inizio alla fine del suo stesso regime. Un anno dopo, infatti, la prospettiva di una guerra contro la Turchia mossa da Ioannidis per liberare Cipro dall’invasore fece sì che gli ufficiali più anziani togliessero il loro supporto alla Giunta, passando poi la staffetta a Konstantinos Karamanlis, il quale prontamente accettò l’incarico, fondando il partito conservatore Nea Dimokratia.

Correva l’anno 1985, ancora una volta, erano in pochi a sapere che di lì a poco, le celebrazioni per il dodicesimo anniversario della mattanza del Politecnico si sarebbero spente nel sangue. L’agente Athanasios Melistas, il quale verrà successivamente indagato per omicidio e poi assolto con l’attenuante di aver commesso l’atto ‘nella foga del momento’, alzò il braccio, puntò la pistola e fece fuoco, raggiungendo alla nuca il quindicenne Michalis Kaltezas, giovane studente che si trovava nei pressi del quartiere di Exarchia insieme ad altri suoi coetanei, in quel momento in fuga dalle forze dell’ordine che erano giunte in massa nella zona dopo lo scioglimento pacifico della manifestazione di quella mattina e l’inizio degli scontri del pomeriggio. Così commentò l’accaduto il compositore Manos Hatzidakis, esiliato durante la Giunta militare ma sempre militante e polemico, fino alla sua morte: «Quando devo scegliere tra un quindicenne che scaglia una molotov e un poliziotto addestrato di trent’anni, con in mano una pistola, io scelgo il ragazzo e non il poliziotto. Stimo molto più profondamente un ragazzo che si ribella e scende in strada per protestare, anche se in modo esagerato, anche se ha in mano una molotov. Non stimo affatto un poliziotto che a quel ragazzo decide di sparare. Comunque siano andate le cose, assolvere un agente di polizia è per me un errore madornale, nonché un pessimo messaggio che diamo ai giovani, quella parte di società ancora sana, ancora non corrotta, al contrario di noi».

Negli anni a venire, l’anniversario si tingerà spesso di rosso, soprattutto in concomitanza con l’avanzata dell’estrema destra nel Paese – quella destra neonazista dell’Alba Dorata di Nikos Michaloliakos (nostalgico della Giunta e amico dell’ex dittatore Papadopoulos), in parlamento dal 2013 al 2019, recentemente dichiarata organizzazione criminale dal tribunale di Atene – a riprova di una società greca dalla memoria lunga e tenace, che non accetta mai di buon grado le restrizioni alle proprie libertà. Ed è così che, nonostante la pandemia, correndo l’anno 2020, ancora una volta, il calendario torna a segnare la data del 17 novembre. In vista dell’anniversario e in barba alla Costituzione, Mitsotakis, per interposta persona del Ministro della protezione civile Michalis Chrysochoidis, varò un ulteriore decreto restrittivo che rese di fatto illegale non solo la partecipazione alla manifestazione del 17 novembre, chiamando in causa l’ormai iper-strumentalizzata pandemia, ma anche i raduni di più di tre persone nei giorni precedenti e successivi alla data fatidica. Inutile a dirlo, la popolazione reagì con prontezza e zelo, annunciando la partecipazione trasversale alla manifestazione di partiti politici, comitati di medici, movimenti studenteschi e frange anarchiche.

Di repressione in repressione, siamo ormai giunti al 2021. Dopo poco meno di due anni di governo Mitsotakis, il leader del partito conservatore Nea Dimokratia (eletto l’8 luglio 2019 in seguito alla sconfitta del predecessore, Alexis Tsipras), la Grecia ha avuto modo di sperimentare sulla propria pelle una serie di politiche neoliberali che hanno lentamente sfibrato la già indebolita società ellenica, andando a favorire investimenti statali nel privato piuttosto che nel pubblico e accordi internazionali di stampo nazionalista volti a sopprimere le ondate migratorie, nonostante tutte le convenzioni europee a riguardo. Superata poi la prima ondata epidemica, gestita dallo Stato greco con durezza e repressione, anteponendo l’assunzione di forze dell’ordine a quella di dottori e infermieri, a oggi ancora non pervenuti, la Grecia si ritrova adesso a dover raccogliere i cocci delle scelte (definite scellerate da gran parte dei medici del Paese) della classe dirigente, affrontando dunque un secondo lockdown con le stesse strutture ridotte e lo stesso organico striminzito di marzo 2020.

Ed è nel pieno della seconda ondata, più precisamente l’11 febbraio, sulla scia dell’annullamento del diritto di asilo universitario del 2019 (legge approvata nel 1982, proprio in seguito alla mattanza del Politecnico di Atene) che impediva alla polizia di entrare nelle università, già di firma ND, che il governo ha proposto e fatto passare, grazie alla propria maggioranza, la legge 4777/2021 Kerameus/Chrysochoidis (rispettivamente, la Ministra dell’Istruzione e degli Affari religiosi e il già citato Ministro della Protezione civile). Come sostenuto dal Primo ministro in carica, la legge in questione non ha come scopo quello di far entrare le forze dell’ordine nelle università, ma bensì la ‘democrazia’. Undici giorni dopo la sua applicazione, il selciato dell’Università Aristotele di Salonicco (UAS in breve) si era già tinto di rosso. Durante un’occupazione studentesca volta a denunciare l’anticostituzionalità della suddetta legge, su chiamata del rettore della UAS, la polizia aveva fatto il suo roboante ingresso nel campus in veste antisommossa, sciogliendo con estrema violenza una manifestazione pacifica su suolo pubblico, arrestando gli studenti e ferendo quei professori che tentavano di proteggerli.

A differenza del lontano 1973, sono stati in molti, quel giorno, a sapere che di lì a poco – e cioè nell’arco di un solo mese – lo Stato democratico greco si sarebbe infilato in un oscuro tunnel di repressione e violenza poliziesca sistemica, coadiuvato dai mezzi di comunicazione di massa che, allenatisi durante il primo lockdown, non si sarebbero fatti scrupoli nel distorcere i fatti in favore della linea di governo. La tensione era palpabile: le continue angherie delle forze dell’ordine ai danni dei cittadini in nome della pandemia, fomentate dai vari DPCM sempre più repressivi (coprifuochi sempre più stringenti, scuole chiuse a oltranza, autocertificazioni per qualsiasi spostamento, divieti di manifestazione), continuavano ad aggiungere benzina sul fuoco del malcontento, mentre i canali televisivi non mollavano la presa, ripetendo a mitraglietta il dogma conservatore dell’unità nazionale e della macerazione personale di fronte al virale nemico comune.

In questo contesto, trova spazio anche la linea dura del governo nei confronti dello sciopero della fame (e ormai anche della sete) del prigioniero della 17 novembre (organizzazione terroristica della sinistra radicale nata nel 1975 e scioltasi nel 2002 responsabile di 25 omicidi e decine di attentati contro obiettivi americani e capitalistici in Grecia) Dimitri Koufontinas. Cominciata prima tra l’assordante silenzio da parte dei media mainstream, la vicenda, poi passata in prima pagina, ingigantendo di fatto l’imbarazzo di Mitsotakis e dei suoi non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, riportando a galla lo spettro mai esorcizzato della dittatura dei colonnelli, sembrava poter diventare la miccia perfetta per una rivolta popolare di portata nazionale. E invece, a dare il via alle sommosse, che sicuramente si inaspriranno non appena Koufontinas spirerà (le sue richieste sono state rifiutate ancora una volta proprio oggi, 11 marzo 2021), non è stata una morte legata all’oscuro passato fascista del Paese, ma uno scontro generato dal presente altrettanto fascista e militarizzato.

Il 9 marzo, nel borghese quartiere ateniese di Nea Smyrni, una pattuglia delle forze dell’ordine giunta nella piazza centrale in seguito a ‘diverse chiamate’ relative a presunte violazioni di misure anti-COVID viene ripresa dagli svariati cellulari degli astanti mentre si accanisce contro un cittadino che, in modo decisamente pacifico, stava parlando con loro. In poche ore, il video farà il giro della città, che risponderà prontamente con la prima di una serie di manifestazioni più o meno violente (nello specifico, quella di domenica sera lascerà ‘ferito’ un poliziotto, causando l’ira dell’Arma tutta, che non perderà l’occasione per minacciare di morte “quei bastardi di sinistrasui vari social network) che, fino a oggi, stanno scuotendo il Paese dalla testa ai piedi. Il governo, dal canto suo, non sembra intenzionato a cambiare tattica, tutto il contrario: dopo una condanna di rito della violenza “in toto”, ma in primis di quella dei manifestanti, un parlamentare del governo reggente non solo ha divulgato le generalità di uno degli arrestati in diretta tivù, bensì ha anche difeso l’operato delle forze dell’ordine dichiarando che quella domenica pomeriggio, non veniva picchiato e ammanettato un cittadino, ma un “noto sovversivo attivo nelle frange di sinistra”, creando di fatto una distinzione tra cittadini bravi e silenziosi e cittadini fastidiosi e attivisti e di fatto ammettendo pubblicamente che lo Stato ha ripreso a schedare le persone in base alle loro opinioni politiche.

Come se non bastasse, il governo ha anche tentato, riuscendoci in parte grazie alla disinformazione dei canali statali, a stravolgere i fatti, lanciando rocambolesche accuse contro gruppi di persone inesistenti che, a detta loro, quel pomeriggio avevano attaccato la pattuglia in piazza a Nea Smyrni, provocandone la reazione violenta. A nulla, per ora, sembrano essere servite le migliaia di video caricate sulle principali piattaforme di informazione alternative della penisola greca, video che mostrano da infinite angolazioni la verità dei fatti: un’esplosione di brutalità poliziesca difesa e fomentata dai meccanismi di Stato.

L’attivissimo tessuto politico dei cittadini ellenici, però, non sembra intenzionato a lasciarsi intimorire e nei giorni successivi, diverse manifestazioni hanno preso piede anche in altre città, seguite con zelo dalla repressione e dalla violenza delle forze dell’ordine, oramai certe di poter agire impunite anche davanti alle telecamere dei giornalisti indipendenti (immagini che verranno poi strumentalizzate e stravolte dai canali mainstream all’insegna della rampante censura di un governo sempre più autoritario). A rincarare la dose dittatoriale ci si mette anche Radio Thessaloniki, stazione radiofonica della seconda città più popolosa della Grecia, che proprio oggi decide di non commentare sui fatti, cacciando uno dei suoi giornalisti il quale, esasperato, lancia il suo j’accuse online, svelando di essere stato tacciato di ‘anarchico’ per il semplice fatto di voler riportare la notizia di quanto accaduto nelle strade di un Paese sempre più nero.

In queste ore, il suono degli idranti della polizia e l’odore pungente dei fumogeni che riempiono le strade della capitale e del Paese tutto ricordano forse troppo da vicino quei suoni e quegli odori causati da un popolo in lotta contro una dittatura d’altri tempi. E così come in quel lontano 1973, quando gli studenti imploravano i militari di non spargere sangue fraterno sul suolo del Politecnico, così anche oggi, cittadini, medici, infermieri, studenti, politici e lavoratori gridano in coro: «Pane, Educazione, Libertà e Sanità». La risposta dello Stato, è l’arresto.

Sabato, 13 marzo 2021 N° 7/2021

In copertina: Ceci n’est pas une Démocratie (immagine fornita dall’autore, Francesco Chiaro).

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