giovedì, Novembre 21, 2024

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Si ritorna alla guerra fredda? In pericolo la pace mondiale

Le truppe russe ai confini dell’Ucraina

di Ettore Vittorini

In questi giorni a Ginevra russi e americani tentano di trovare un accordo per impedire il ritorno a una nuova guerra fredda e per bloccare la minaccia delle armate di Putin di invadere l’Ucraina. Sembra di essere tornati indietro di decenni, quando l’Occidente temeva l’estendersi del “pericolo rosso” dell’URSS.

Dopo il crollo del muro di Berlino del novembre del 1989, tra la Russia di oggi e l’Unione Sovietica di ieri è “cambiato tutto e non è cambiato nulla”. È un aforisma gattopardesco che potrebbe adattarsi a questa grande nazione, che almeno negli ultimi cento anni è stata tra le maggiori protagoniste della storia del Mondo.

Un grande cambiamento ci fu e porta la data del Natale del 1991 quando il presidente e segretario del PCUS, Michail Gorbačëv – appena uscito da un misterioso tentativo di colpo di Stato – annunciò al popolo sovietico le proprie dimissioni e poche ore dopo la bandiera rossa, che svettava sul Cremlino da 73 anni, venne ammainata per sempre.

Lo stesso giorno l’URSS mutò la sua denominazione in Federazione Russa, ma molte repubbliche federate si proclamarono indipendenti. Tra le tante, i tre Paesi baltici, l’Ucraina, la Bielorussia il Kazakistan, la Georgia e altre ancora. Per non parlare dei Paesi satelliti che già negli ultimi mesi della presidenza di Gorbačëv, avevano mandato a casa i propri regimi comunisti e la Germania Est si era riunita con quella dell’Ovest.

La Russia comunque territorialmente sempre molto grande, sembrava avviarsi verso la democrazia sotto la guida del nuovo presidente Boris Eltsin. In realtà ci fu un processo di disgregazione che sconvolse totalmente il sistema politico, economico e sociale del Paese. La democrazia non era stata recepita da un popolo che non l’aveva mai conosciuta – né con gli Zar, né col regime bolscevico – e si è trovato di fronte a un nuovo regime occidentalizzatosi di colpo attraverso un liberalismo improvvisato e un consumismo riservato soltanto a chi se lo poteva permettere.

Ne hanno approfittato subito gli ex appartenenti alla precedente “nomenclatura” comunista i quali – coperti dal governo di Eltsin – si sono impossessati dei beni dello Stato trasformandosi in neocapitalisti e creando così una classe dirigente plutocratica. In questo clima ha potuto emergere l’attuale presidente Vladimir Putin, ex funzionario in carriera del KGB sovietico, nominato da Eltsin Primo ministro e infine nel 2000 arrivato al massimo potere del Cremlino che ha sempre mantenuto dopo elezioni svoltesi regolarmente, ma la cui correttezza veniva sempre contestata dalle opposizioni.

È quindi molto problematico oggi parlare di democrazia in questo regime che tende a soffocare tutte le voci libere che gli danno fastidio. L’ultima tra queste è stata la liquidazione del “Memorial”, un’istituzione molto attiva nella documentazione della repressione stalinista e nella difesa dei diritti, nata in seguito alla Glasnost di Gorbačëv.

Oggi in Russia è vietato anche parlare della repressione stalinista in seguito alla quale vennero “eliminate” o mandate nei gulag milioni di persone. La costituzione in vigore non prevede una legge che condanna i crimini dello Stato sovietico, contrariamente a quanto è avvenuto nella Germania contro il Nazismo e in Italia contro il Fascismo.

All’epoca della destalinizzazione compiuta da Nikita Kruscev nel 1956 ci fu una epurazione: il ministro stalinista degli Interni Lavrentij Berija e i suoi collaboratori vennero condannati a morte, mentre contemporaneamente si chiudevano i Gulag e riabilitati i prigionieri politici e – post mortem – le vittime di Stalin. Oggi il famigerato KGB ha cambiato nome dividendosi in due sezioni – FSB per l’interno, e SVR per l’estero – ma i metodi sono rimasti gli stessi di prima.

Pertanto il “cambiamento” è stato solo apparente. Accade anche nella politica estera di Putin che tende a riportare il controllo russo sui Paesi dell’Europa dell’Est. L’occupazione del 2014 della Crimea ne è stato l’esempio più esplicito e oggi segue la minaccia di invasione dell’Ucraina, resa evidente con la dislocazione di un’intera armata di 100 mila uomini ai suoi confini. Inoltre l’invio di truppe nel Kazakistan in rivolta ricorda molto le invasioni dell’Ungheria, nel 1956, e della Cecoslovacchia nel ’68.

In favore della Russia di oggi bisogna ammettere che la NATO, ritenendo l’ex nemico precipitato verso la decadenza, ne approfittò accogliendo nell’Alleanza Atlantica le tre Repubbliche baltiche, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Bulgaria, la Romania e la Polonia. Praticamente i confini dell’ex Unione Sovietica venivano circondati da truppe e missili dell’Occidente. Gli Stati Uniti avevano conosciuto bene una simile minaccia al proprio territorio quando nel 1962 scoprirono che a Cuba l’URSS aveva istallato batterie missilistiche. Nel luglio di quell’anno il mondo rischiò lo scoppio di una terza guerra mondiale.

Adesso Stati Uniti e NATO mettono in guardia Putin dal tentare avventure militari pericolose per la pace.

Sabato, 15 gennaio 2022 – n° 3/2022

In copertina: parata militare russa nella Giornata della Vittoria – Foto: Vitaly V. Kuzmin – CC 4.0 International License

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