Le barriere legali di molti Paesi spingono migliaia di persone all’estero per accedere alla riproduzione assistita.
traduzione di Laura Sestini
Marie e il suo compagno non sono riusciti a concepire un bambino in un decennio di tentativi naturali, e poi si sono trovati davanti a un muro.
«Abbiamo praticato una procedura da donazione di gamete in Francia che non ha funzionato – dice lei». Allo stesso tempo hanno dovuto affrontare un altro problema: le liste di attesa per la riproduzione assistita lunghe due anni. «E quando il tentativo non funziona, devi aspettare altri due anni – sottolinea Marie». I tempi così lunghi hanno fatto temere per il peggio, come superare il limite di 45 anni che la Francia impone alle donne per l’accesso all’ART-Tecnologia di riproduzione assistita. «Potendo affrontarlo finanziariamente, si riprova in un altro paese europeo che ha le stesse procedure di fecondazione assistita, ma più veloci – spiega».
Marie, ha poi fatto un altro tentativo in Spagna, ma non è l’unico.
Erika è una donna ungherese che sta cercando di concepire con il suo partner dal 2017, ed anche l’accesso alla donazione di ovociti – permessa in Ungheria; ma il suo governo richiede che il donatore sia uno soggetto entro sua la famiglia. «Non ho una parente che può donare un ovocito – dice Erika». Questo è stato il motivo principale che l’ha portata ad attraversare il confine della Repubblica Ceca, a cui ha contribuito anche la sopportazione e la disumanizzazione del sistema sanitario ungherese. «Ci sentiamo come se fossimo porcellini d’India – non esseri umani – per quello che abbiamo subito in Ungheria, cioè essere buttati su un nastro trasportatore, ed avanti un altro».
Un recente studio ha riportato che circa il 5% dei trattamenti per la fertilità in Europa implica viaggi transfrontalieri. Le destinazioni più popolari sono Spagna, Repubblica Ceca, Danimarca e Belgio. Nel 2019 le cliniche spagnole per la fertilità hanno effettuato 18.457 cicli di trattamento per persone provenienti dall’estero – maggiormente da Francia e Italia – mentre la Danimarca ha eseguito più di 8 mila trattamenti per utenti internazionali, il 21,69% del totale. In Belgio, nel 2018, il 13% dei cicli di fecondazione in vitro erano per pazienti che vivono fuori dal Paese, perlopiù in altri paesi dell’Unione Europea. Al contrario, in Lituania tra il 2018 e il 2020, il Ministero della Salute ha contato solo dieci non residenti, la maggior parte da Russia e Bielorussia.
Cosa cercano le persone in ognuno di questi paesi?
Le persone intervistate da Civio, un’organizzazione indipendente e senza scopo di lucro con sede a Madrid, che vigila sulle autorità pubbliche, sono una piccola frazione dei milioni di utenti della fecondazione assistita – da cui sono nati circa otto milioni di bambini – che per un motivo o un altro sono stati costretti a cercare la tecnologia di inseminazione artificiale lontano da casa. Le ragioni più comuni sono i molteplici limiti legali imposti nei paesi d’origine. La metà dei paesi europei impedisce alle coppie femminili l’accesso alla procreazione assistita e quasi un terzo estende il divieto anche a donne single per scelta. Inoltre ci sono anche altri impedimenti, come i limiti di età o il numero di cicli finanziati. Ulteriori motivi includono le lunghe liste di attesa della Francia, la necessità di maggiore qualità dell’assistenza sanitaria – o più economica – e talvolta il desiderio di donazioni anonime.
In paesi come l’Ungheria, dove alle coppie LGTBIQ+ è vietato l’accesso di ART, le cliniche straniere per la fertilità pubblicizzano i loro servizi a potenziali utenti. «In Repubblica Ceca, in Ucraina e anche in Austria, possiamo vedere che le nuove istituzioni hanno cominciato a fare pubblicità per gli Ungheresi in lingua magiara, offrendo i loro servizi fondamentalmente allo stesso prezzo, o prezzi molto simili all’intero settore privato ungherese – afferma Bea Sandor, portavoce della Háttér Society».
Per Marie e il suo partner, la lingua non era un ostacolo quando si sono trasferiti in Spagna: «Non parlo spagnolo. Ma per le persone francesi è davvero facile. Le cliniche che si prendono cura dei pazienti francesi parlano la lingua – afferma». Secondo la ginecologa Marisa López Teijón, direttrice della clinica della fertilità dell’Institut Marquès, i suoi pazienti provengono da più di 50 paesi. È anche comune che le cliniche più rinomate aprano sedi all’estero.
Chi viaggia all’estero in cerca di procreazione assistita sceglie dove andare in base alle proprie esigenze. Questo è quello che è successo a Marie: «Vivo a Tolosa. È a sole tre ore da Barcellona». Sia la Spagna che la Repubblica Ceca sono destinazioni comuni per le persone che hanno problemi di fertilità e richiedono donazione di ovociti, come nel suo caso.
I dati sono invece univoci: il 54,3% dei trattamenti è iniziato in Spagna nel 2019 in pazienti stranieri coinvolti in ovo-donazione. Colpiscono anche le cifre della Repubblica Ceca: nel 2017 le donatrici di oviciti erano residenti (99,7%), mentre le riceventi erano perlopiù straniere (86,3%).
Al contrario, la Danimarca è famosa per i suoi donatori di sperma. Infatti, secondo il Danish Health and Medicines Authority, il 55,5% delle inseminazioni di donatori danesi erano per riceventi straniere.
«La Danimarca è un paese relativamente aperto quando si tratta di legislazione sui donatori di sperma – afferma Lasse Ribergård Rasmussen, portavoce di Cryos International, una delle banche del seme più famose». Dalla loro sede di Copenaghen – insieme ai centri situati a Cipro e negli Stati Uniti – inviano campioni in 100 differenti paesi di tutto il mondo. «Lunghe liste d’attesa e aspetti legali dei clienti nei rispettivi paesi sono anche fattori che possono influenzare le decisioni – riporta Rasmussen».
Sebbene le ragioni per viaggiare in ogni luogo varino, tutti questi Paesi hanno qualcosa in comune: una legislazione permissiva e gli alti tassi di successo sembrano averli resi destinazioni attraenti per migliaia di persone. «La legge spagnola, nonostante sia più vecchia, ha un’ottima permissività. I centri sono stati organizzati molto bene, hanno realizzato molti buoni risultati, e circuiti che funzionano – sottolinea González Foruria, il ginecologo di Dexeus». «La Spagna, in entrambi casi di ovodonazione e di permessi, e per avere più strutture, è uno dei leader in Europa – conferma Juana Crespo fondatrice dell’omonima clinica della fertilità».
Nel caso della Repubblica Ceca, secondo l’Istituto di Informazioni e Statistiche Sanitarie le ragioni sono simili: normativa aperta, l’ampia disponibilità di donatori anonimi e la qualità del trattamento. «La Repubblica Ceca è una destinazione popolare soprattutto per la fecondazione in vitro perché può offrire sia alti tassi di successo che prezzi convenienti – afferma Michaela Silhava, direttrice della Clinica Unica di Praga». La maggior parte dei suoi pazienti si reca oltreconfine a causa di restrizioni legali, come quelli in Italia, Germania e Austria, o per lunghe liste di attesa, come il caso del Regno Unito.
Tuttavia, le autorità sanitarie della Repubblica Ceca temono che l’arrivo di molti pazienti internazionali potrebbero mettere in difficoltà – per accedere alla riproduzione assistita – chi vive in loco. Questo è chiaro nel rapporto del 2017 pubblicato dall’Istituto per l’Informazione Sanitaria e Statistiche. Il documento avverte dei rischi di aumento dei prezzi e che i trattamenti ART potrebbero diminuire l’accesso ai residenti della Repubblica Ceca. Eppure gli specialisti della fertilità in Spagna escludono che ciò possa accadere perché la donazione di ovociti è spesso utilizzata anche da persone residenti nel Paese ceco e per la concorrenza tra cliniche private.
E il futuro?
Una domanda importante è se la discriminazione che ancora colpisce molte persone terminerà, in futuro.
Non si tratta più solo di accesso, ma anche di evitare ogni tipo di successiva esclusione. Come quella sofferta da Chiara Foglietta e Micaela Ghisleni, una coppia di donne italiane che si sono recate in Danimarca per l’inseminazione artificiale. Nell’aprile 2018 quando è nato loro figlio, Foglietta, consigliere comunale a Torino, ha scritto in un post su Facebook. Ma all’atto dell’iscrizione nel Registro Civile il funzionario le ha chiesto di mentire, di dire che era andata ‘a letto’ con un uomo. «Non esiste una formula per dire che hai praticato una procreazione medicalmente assistita – PMA – ha scritto ancora Floglietta».
Anche se alla fine sono riuscite a iscrivere il bambino come il primo figlio registrato di due madri in Italia, la loro esperienza è comune. In Irlanda le coppie di donne che accedono alla riproduzione assistita all’estero non possono registrare il bambino come figlio di due madri, secondo la recente denuncia di una famiglia che si è trasferita in Belgio per concepire. In Ungheria, dove le partner femminili non possono accedere all’inseminazione artificiale o la fecondazione in vitro, simili problemi sono comuni. «Quando avviene la registrazione dopo la nascita, alle madri viene chiesto se c’è un padre. E se non c’è – ovviamente – nessun padre, devono raccontare qualcosa sull’origine del neonato – spiega Sandor». Alcune persone cercano di presentare la documentazione per dimostrare che il bambino è stato il risultato di ART, mentre altri raccontano storie di una notte e dicono di non conoscere il genitore. «Le persone sono preoccupate di dover mentire davanti a un notaio. È qualcosa di terribile – continua Sandor».
La situazione nei paesi che ospitano il turismo riproduttivo potrebbe cambiare in futuro. Irene Cuevas, coordinatrice del Registro della Società Spagnola di Fertilità, sottolinea che molte donne hanno viaggiato in Spagna per ART, in particolare in comunità come la Catalogna e i Paesi Baschi, perché ‘era illegale’ nei loro luoghi di origine. Tuttavia, la recente modifica legislativa in Francia, che consente a tutte le donne di accedervi, indipendentemente dal loro stato civile o orientamento sessuale, incoraggia queste donne a rimanere nel proprio Paese. «Soprattutto diminuiranno i cicli di donazione del seme – dice Cuevas». Questo potrebbe accadere anche in Belgio, altra meta comune per i pazienti provenienti dalla Francia. Per l’attivista francese Magali Champetier, che si è recata in Spagna con il compagno per avere un figlio – secondo la rivista Komitid – questo sarà meno stressante e inoltre sarà gratuito, a differenza dell’estero.
Attraversare il confine implica, nella maggior parte dei casi, un significativo esborso finanziario. « E’ necessario risparmiare ogni centesimo. Il trattamento della fertilità è molto costoso – afferma Thorne ». Erika per risparmiare si è recata in una clinica in Bratislava, in Slovacchia, invece della vicina Repubblica Ceca: lei e la sua partner hanno speso 4 mila Euro per il trattamento, utilizzando un prestito bancario, invece di 6.500-7 mila euro che avrebbero dovuto pagare in una clinica ceca.
Marie stima altresì la sua spesa in circa 9 mila euro, contando il trattamento e tre viaggi tra Tolosa e Barcellona.
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Sabato, 27 novembre 2021 – n° 44/2021
In copertina: foto di Bgmfotografia/Pixabay