giovedì, Dicembre 26, 2024

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SPECIALE IRAN – Donna, vita, libertà

L’hijab è solo l’inizio

di Simona Podestà

Lo scempio di giovani vite che avviene quotidianamente e di cui probabilmente sappiamo solo una minima parte, sta sollevando la coltre di indifferenza che ci avvolge da tempo, forse per autodifesa, avvezzi come siamo a sopportare guerre, nefandezze, crisi di ogni tipo, un buio ricorso medievale.

In Iran una rivoluzione è in corso e non può più essere fermata e l’hijab, il velo femminile, ne è il simbolo, come era successo quando il padre di Reza Phalavi, l’ultimo Scià, lo aveva vietato nel 1936 nel tentativo di modernizzare lo Stato, incontrando la resistenza di molte donne che si erano rifiutate a lungo di uscire di casa a capo scoperto.

Rivoluzione: una parola disabitata, che credevamo relegata solo nei libri di Storia e che invece si dimostra ancora l’unica strada per rovesciare un regime totalitario.

La storia della libertà è la storia della lotta per conquistare la libertà e la lezione che il popolo iraniano ci sta offrendo è che si può anche morire per la libertà, offrendo il proprio corpo in maniera ghandiana.

Le rivoluzioni sembrano sempre impossibili il giorno prima e inevitabili il giorno dopo.

Fortissime le immagini e i video che scorrono in rete: una donna in piedi su una macchina che percorre strade affollate con il braccio alzato e il velo che sventola, pare la statua della libertà.

Una ragazza vestita di bianco balla intorno a un fuoco roteando come un derviscio per poi togliersi il velo e gettarlo alle fiamme; dopo aver assistito a questo gesto altre donne si avvicinano al fuoco e lo ripetono. Questo è il contagio del coraggio, l’enorme coraggio delle donne iraniane senza le quali questa rivolta non sarebbe stata possibile.

DONNA-VITA-LIBERTA’ questo lo slogan della rivolta: tre parole potenti, cariche di significati comprensibili a tutti, che creano empatia e scuotono le coscienze.

Con questo titolo in occasione della recente Giornata Mondiale dei Diritti Umani – 10 dicembre – la città di Milano ha reso omaggio alla lotta Iraniana organizzando al Teatro Parenti un Forum a suo sostegno: hanno partecipato personalità di alto profilo culturale, ognuno portando il proprio apporto critico e la propria visione.

La scrittrice iraniana Azar Nafisi, autrice del Best seller “Leggere Lolita a Teheran” ha parlato della protesta come di una rivolta esistenziale, non solo politica, sociale e religiosa, spiegando come le persone non si sentano più rappresentate da questo regime oscurantista, non vedano un futuro e non vogliano nemmeno delle riforme; vogliono abbatterlo come il muro di Berlino.

Siamo davanti a un apartheid contro le donne e l’Iran dovrebbe essere trattato come è stato trattato il Sudafrica mentre il mondo tace e ricorre a blande e simboliche sanzioni che non sono sufficienti e non avranno nessuna efficacia davanti a un regime che usa il terrore come ultima arma, estorcendo confessioni sotto terribili torture che portano alle condanne a morte.

Lo psicanalista Massimo Recalcati ha dato la sua visione in chiave analitica: «Il delirio di quello che sta succedendo nel nome di Dio. Si fa il Male nel nome del Bene. E’ qualcosa che ha attraversato anche l’Occidente qualche secolo fa nel periodo dell’Inquisizione, è il corpo della donna che incarna la sessualità, quindi la libertà, a dover essere eliminato, distrutto».

Nel sadismo del Potere c’è sempre un sadismo pedagogico: “ti faccio vedere cosa ti succede così impari la lezione.”

Il giornalista Mariano Giustino, corrispondente di radio Radicale da Ankara, ha raccontato come la protesta stia allargandosi a macchia d’olio: ora c’è l’adesione anche dei settori più conservatori del Paese come commercianti e industriali. Si intravvedono le prime crepe nella teocrazia e all’interno delle forze militari, una stanchezza nella repressione, tanto che sono state richiamate forze militari esterne. Il grido dei manifestanti adesso è “Moriremo ma non arretreremo davanti ad un proiettile, ad una corda”. Ma si deve fare di più per aiutare queste generazioni coraggiose, occorre che tutte le comunità internazionali prendano una posizione decisa e compatta per fermare un regime che lascia penzolare i martiri dalle gru.

Sul palco del teatro Parenti sono saliti anche molti giovani della folta comunità Iraniana che vive a Milano per portare la propria narrazione: ora le loro nonne si sentono in colpa per aver sostenuto l’avvento del cambio di regime che destituì lo Scià nel 1979 per poi trasformarsi in questo totalitarismo repressivo e spietato.

Mi sento anch’io in colpa, per il mio essere nata donna in Occidente con tutti i privilegi che questo comporta, e anche inutile perché il male non si può disfare, sembra anzi che la nostra evoluzione sia questa: da scimmie a criminali.

Possibile che siamo solo capaci di tagliarci una ciocca di capelli?

Sabato, 17 dicembre 2022 – n° 51/2022

In copertina: immagine grafica di Hamir Nikkhah

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