Intervista al regista del docufilm – Dario Salvetti
di Laura Sestini
Lunedì 12 luglio – a Firenze, presso la Manifattura Tabacchi – verrà presentato in prima nazionale il docufilm-mediometraggio di Dario Salvetti sulla figura di Lorenzo Orsetti, internazionalista fiorentino scomparso il 18 marzo 2019, combattendo a fianco delle Unità curde di Protezione del Popolo – YPG – contro il Califfato islamico in Siria di Nord-Est. Alla serata saranno presenti il regista Dario Salvetti, Alessandro Orsetti, padre di Lorenzo e Sara Montinaro, autrice del libro ‘Daeş – viaggio nella banalità del male’ sulle donne del Califfato.
Più volte abbiamo scritto della ‘causa curda’ e della democrazia dal basso – il Confederalismo Democratico – istituita dai Curdi in Siria del Nord e dell’Est – già durante la guerra civile siriana – dove a sostegno erano confluiti internazionalisti da tutto il mondo contro la violenza e il fascismo più nero di Daesh, a sua volta tenuto in piedi attraverso la più retriva legge coranica – o Sharia. I caduti internazionalisti che hanno donato la loro vita alla causa, sono inequivocabilmente considerati ‘i nuovi partigiani contemporanei’.
Lei è al suo secondo lavoro registico-documentaristico: con quale criterio ha scelto di dedicarsi a Lorenzo Orsetti?
Dario Salvetti: – “Credo in una forma di documentario militante in grado di mettersi al servizio di una causa. Ho provato a fare un documentario che fosse questo: un ulteriore strumento per la memoria di Lorenzo e per la causa per cui ha lottato. Il primo documentario di cui sono stato coregista insieme a Marzia De Luca (‘Il nemico in piazza’) trattava della strage fascista di Piazza Dalmazia a Firenze del dicembre 2011. In qualche modo c’è un filo conduttore con questo secondo documentario. Perché l’occhio della telecamera si muove anche in questo caso tra le strade di Rifredi e anche in questo caso l’antifascismo è uno dei temi centrali.”
Lorenzo Orsetti – nome di battaglia Tekoşer Piling – decide di unirsi al contrasto militare anti-Daesh con le SDF, le Forze Democratiche Siriane dei Curdi della Siria di Nord-Est. Lei conosceva già la questione curda oppure è stato attratto dalla figura di ‘Orso’ ?
D.S.: – “Ricordo quando mi arrivò il messaggio della morte di Lorenzo. Ricordo la sensazione che mi provocò. Io sono un attivista, politico e sindacale, e quindi conoscevo sia la situazione in Rojava (Siria di Nord-est) sia il fatto che un ragazzo di Firenze si era unito ai volontari internazionali nelle Unità di protezione del popolo curde (Ypg e Ypj). Eppure era come se – assorbito completamente dalla routine – questo fatto enorme mi fosse sfuggito. Come successo credo a tanti, il suo testamento mi ha profondamente scosso: “ogni tempesta inizia con una singola goccia, provate voi a essere quella goccia”. Stavo facendo abbastanza per provare a essere quella goccia?”
Attraverso quale processo mentale, secondo lei, si può decidere di andare a combattere in un Paese lontano dal proprio, anche se la causa Daesh è senz’altro globale? La guerra uccide, quindi, come successo a Lorenzo, è possibile non tornare più dai propri cari. Il valore della ‘causa’ è superiore alla propria vita?
D.S.: – “Lorenzo non si è unito a una generica guerra. Lorenzo non amava la guerra, così come non la ama nessuno dei miliziani delle Ypg e delle Ypj. Lorenzo si è unito a un processo di lotta e liberazione sociale, un processo rivoluzionario. Questo processo ha preso la forma della guerriglia come forma di difesa estrema. Lorenzo era assolutamente consapevole del rischio che correva andando là. Ma era consapevole anche del rischio che correva non andando là: quello di vivere una vita senza uno scopo in grado di dare un senso alla propria esistenza. Quindi non ha scelto la causa al posto della vita. Ha scelto di vivere una vita per una causa. Ci sono molti tipi di vite e molti tipi di morte. Lorenzo ha trovato la morte fisica. Bisognerebbe chiedersi quanti invece oggi hanno scelto un tipo di morte sociale, intellettuale, in nome di una vita fisica che in verità è mera sopravvivenza.”
Per realizzare il mediometraggio su Orso Tekoşer, immaginiamo abbia scavato nella psicologia della sua personalità. Cosa può riportare dalle sue riflessioni?
D.S.: – “La sfera psicologica personale di Lorenzo appartiene ai suoi familiari, ai suoi amici, ai suoi compagni più intimi. Se vorranno e come vorranno, lasceranno che parte di questa sfera diventi pubblica. Io mi sono concentrato sul Lorenzo ragazzo di Rifredi che diventa militante anarchico e partigiano in Rojava. Quello che emerge – e probabilmente scioccante per noi – è il grado di serenità che aveva trovato in mezzo a una guerra. Lorenzo non stava in nessun modo pianificando di tornare, nonostante il conflitto con l’Isis fosse teoricamente alla fine. Aveva scelto di essere parte di quel processo fino in fondo. Sapeva che dopo la fine di Isis, la Turchia avrebbe attaccato il Rojava. E Lorenzo non aveva alcun dubbio sul fatto che avrebbe vissuto anche questo avvenimento a fianco dei suoi compagni.”
Ci descrive sinteticamente una giornata ‘tipo’ di ‘Orso’?
D.S.: – “Non credo ci fosse una giornata tipo. Per quel che posso aver ricostruito, là Lorenzo passa tre grandi fasi: l’addestramento, la battaglia di Afrin – sotto le bombe turche di Erdoğan – e poi la campagna di Deir er Zor contro l’Isis in una zona desertica. Scenari quindi parecchio diversi tra loro.”
Secondo lei c’è una mediazione con se stessi per andare a combattere il ‘nemico’, messa a confronto con la pratica violenta della guerra? Non è un giudizio nei confronti di Lorenzo Orsetti, solo sapere se lei ha affrontato, nel suo lavoro, l’etica sulla violenza della guerra.
D.S.: – “Io credo che noi siamo immersi nella violenza. Questa società trasuda violenza. Il fatto è che in molte delle sue forme la riteniamo normale, tanto da non notarla nemmeno. La guerra è solo una delle manifestazioni di questa violenza. Quella più estrema e appariscente. E la verità è, che quando cerchi di cambiare, di rovesciare una società violenta, il sistema non sta a guardare. Reagisce provando a schiacciarti. E a quel punto devi imbastire una resistenza, le cui forme non le puoi scegliere. Io ho cercato nel documentario di mostrare anche scene di guerra, con i suoi orrori, perché non ci fosse nessuna facile concezione romantica della necessità di prendere il fucile in mano per resistere. Detto questo però, non ho fatto nessuna riflessione sulla guerra perché Lorenzo non era “un soldato”. Era un partigiano. Lorenzo è assimilabile completamente ai volontari che negli anni ’30 andarono a combattere in Spagna contro Franco o con i nostri partigiani che presero il fucile in mano contro il Fascismo. E per quanto mi riguarda non c’è nessun dubbio che questa resistenza sia su un piano diverso dalla guerra fatta per oppressione. E non sia in nessun modo assimilabile, nemmeno terminologicamente, alla guerra di chi bombarda, invade, provoca milioni di morti per interessi economici.”
Ha idea di realizzare altri lavori sulla questione curda?
D.S.: – “Non escludo niente, ma in verità nemmeno questo mediometraggio è definibile un documentario sulla questione curda. Per me il documentario è un lavoro di inchiesta, approfondimento, dove si deve padroneggiare l’argomento, studiarlo dall’interno, da vicino. Io non credo di aver fatto un documentario sul Rojava, né tantomeno sulla immensa questione curda. Ho fatto un documentario dove emergono accenni alla questione, nell’augurio che poi ognuno trovi in questo mediometraggio la voglia di approfondirla.”
Quale è la sua visione per il futuro del Confederalismo Democratico – democrazia dal basso – che si sta tentando di continuare a portare avanti in Siria di Nord-Est?
D.S.: – “I temi che ispirano il Confederalismo Democratico – ovvero una società futura senza Stato, la convivenza tra popoli, la centralità della questione femminile, una economia assolutamente subordinata alle esigenze ambientali, una democrazia consiliare diretta che superi la cosiddetta democrazia rappresentativa e molto altro – descrivono il futuro dell’umanità. Io credo senza voler essere troppo pomposo, che l’umanità futura sarà così o non sarà affatto. Mantengo personalmente forti dubbi sul fatto che il Confederalismo democratico possa convivere nel quadro di un’economia di mercato, di un capitalismo internazionale e nazionale. E infatti dopo aver terminato la campagna contro l’Isis, si è messa in moto la grande congiura di tutti per schiacciare il Rojava. Lì ora non c’è solo l’invasione della Turchia ma un tentativo di pulizia etnica e ricreazione in Siria del Nord di vere e proprie enclavi di fanatismo e fondamentalismo islamico. Se un domani verremo toccati da altri attentati, nessuno abbia il coraggio di lamentarsi o di fare il finto stupìto. Il fondamentalismo islamico – mai veramente sconfitto – avanza e torna sotto l’egida dell’esercito turco di Erdoğan. Con la complicità di tutti: ricordiamo che Draghi ha definito Erdoğan un ‘dittatore utile‘. Quindi, per chiudere, qualsiasi limite politico io possa rilevare, umilmente, nel Confederalismo democratico, questo limite è da discutere e affrontare all’interno del problema dell’isolamento in cui il Rojava è stato lasciato. E questo isolamento purtroppo è dovuto al grado di arretramento del movimento di emancipazione sociale nel resto del mondo. La lotta è internazionale – sempre – e anche questo è l’aspetto centrale della vicenda di Lorenzo che era appunto un partigiano, un antifascista, un internazionalista.”
Dario Salvetti (https://www.cinemaitaliano.info/pers/049289/dario-salvetti.html) studia montaggio presso la Scuola Cinema Anna Magnani di Prato nel 2012, dedicandosi poi in particolare allo studio e a alla pratica del cosiddetto cinema del reale. Vive a Firenze dal 2005. Sulla scia della tradizione italiana del cinema neorealista, persegue una idea di documentario in cui siano gli stessi soggetti sociali in grado di raccontarsi e dove quindi ci sia totale identificazione tra chi realizza il documentario e la realtà sociale che viene raccontata.
Sabato, 10 luglio 2021 – n°24/2021
In copertina: la locandina del docufilm ‘Tekoşer – il partigiano Orso’ – courtesy Dario Salvetti