Investigazioni e studi rivelano le conseguenze sulle popolazioni di ieri e di oggi
di Laura Sestini
E’ grazie al dossier Mururoa files, realizzato dal programma di Scienza e Sicurezza globale dell’Università di Princeton, e da un gruppo di giornalisti investigativi statunitensi, se dopo 55 anni dall’inizio delle sperimentazioni nucleari francesi in Polinesia sono giunti alle critiche dell’opinione pubblica gli effetti che hanno subìto i cittadini polinesiani – unitamente all’ambiente tutto intorno – e i danni alla salute pubblica conseguenti le radiazioni nucleari sprigionate dalle esplosioni atmosferiche nei cieli degli atolli degli arcipelaghi d’oltremare sotto la sovranità della Francia, in Oceano Pacifico.
La prima bomba atomica – della potenza di 30 kilotoni – quasi il doppio di quella sganciata su Hiroshima – venne esplosa il 2 luglio 1966; a questa fecero seguito altre centinaia di lanci e sperimentazioni fino al 1996, anno di chiusura definitiva dei test, a causa delle numerose proteste internazionali contro la Francia e gli armamenti nucleari in generale.
Mururoa era allora un atollo disabitato, bellissimo e incontaminato nell’arcipelago Tuamotu, ma fu sacrificato, insieme alla flora e alla fauna, e all’atollo Fangataufa, per gli obiettivi atomici della Repubblica Francese.
Non che fosse l’unica nazione – la Francia – a sperimentare le esplosioni nucleari e gli effetti devastanti che pervadono il territorio su cui ricadono le radiazioni: in altre parti del mondo Stati Uniti, Russia e Gran Bretagna, realizzavano altrettanto senza scrupoli. Erano gli anni dei due blocchi della Guerra fredda Usa-Urss, e la corsa agli armamenti nucleari.
Le migliaia di documenti militari – i Mururoa files, prima secretati – hanno iniziato a rivelarsi dal 2013, grazie a una lunga battaglia legale tra alcune vittime e le autorità francesi. Nonostante i rari documenti che riescono a recuperare i polinesiani francesi a dimostrazione del loro stato di salute, alcuni nuovi studi riportano che negli arcipelaghi più vicini a Mururoa, almeno 10 mila persone abbiano sviluppato un tumore alla tiroide da allora, mentre per numerose tipologie differenti ne soffrono molti altri abitanti – che attualmente risultano una popolazione di circa 275 mila unità. Negli anni ’60 i Polinesiani francesi erano 110 mila, potenzialmente tutti sottoposti alle radiazioni o ai venti nucleari, principalmente dovuti a errori di calcolo sulle correnti aeree, o semplicemente per incompetenza e leggerezza – nella stessa maniere come si potrebbe giocare con i soldatini di plastica sul tappeto del salotto.
I primi test di bombe atomiche la Francia li sperimentò però nel deserto algerino con il lancio del Blue Gerbois, a febbraio 1960, nella area di Reggane, regione di Tanezrouft, al confine con il Mali. In quelle aree abitavano solo popolazioni nomadi, che non avevano rilevanza per il Commissariat à l’Énergie Atomique – CEA – l’agenzia francese – nata nel 1945 – addetta al programma nucleare. Come i Polinesiani, altrettanto i Tuareg venivano esposti a potenti radiazioni, insieme all’ambiente circostante e le rare falde acquifere.
Ambiente completamente opposto alle acque cristalline della Polinesia, ma altrettanto incontaminato, il deserto del Sahara fu così ricoperto di scorie nucleari, di cui ancora oggi gli abitanti giovani e anziani ne patiscono le conseguenze. Presso il Centre Saharien d’Expérimentations Militaires, oltre alla Blue Gerbois – con una potenza di 60/70kT- furono esplose altre tre bombe atmosferiche tra il 1960 e il 1961, con lo stesso nome ma etichettate con differenti colori.
A seguito di proteste, soprattutto dal continente africano e dagli attivisti francesi, le detonazioni vennero spostate in un tunnel sotterraneo nella zona di Ekker, nella catena montuosa dell’Hoggar – ad Est – non lontano dal confine con il Niger, per un totale di 13 esplosioni.
A maggio 1962, a causa di una errata valutazione, la nuvola radioattiva del test denominato Beryl si propagò per un raggio di quasi tre chilometri irradiando le decine di centinaia di eminenti ospiti arrivati dalla Francia per assistere all’esperimento. A causa di ciò molte delle persone presenti soffrirono in seguito di cancro e lo stesso Ministro Gaston Palewski nel 1984 morì di leucemia.
La popolazione locale da decenni è in lotta con la Francia per ottenere risarcimenti sulle segnalazioni di tumori, e infertilità attribuibili all’esposizione radioattiva, ma finora nessun studio medico-statistico è stato eseguito.
Attraverso le detonazioni nucleari, vaste aree del deserto sono state trasformate in terre desolate e radioattive (ed altrettanto gli atolli). I detriti contaminati, i rottami metallici e gli strumenti tecnici del sito sahariano – ormai in stato di degrado – rimangono all’interno e nelle vicinanze dei tunnel.
A causa degli esperimenti nucleari, anche migliaia di militari impegnati nelle missioni atomiche sono risultati contaminati dalle radiazioni – stimati in circa 2 mila per la Polinesia e in numero non ancora quantificato per quanto riguarda l’Algeria.
Sulle attualissime questioni delle sperimentazioni atomico-belliche francesi nel Sahara, terminate per la riconquista dell’indipendenza dell’Algeria nel 1962 – motivo che fece dislocare i lanci in Polinesia – nel 2019 è stato realizzato un cortometraggio presentato alla 26° Edizione di MedFilm Festival – vincitore di numerosi riconoscimenti.
La petite (Miss), una produzione franco-algerina, seppur in maniera garbata, focalizza proprio sulle conseguenze di salute subite dagli algerini in quei terribili anni.
La petite (Miss) – Francia/Algeria 2019 – durata 12′ https://mixdrop.co/f/gnj6end6swdd6qo
Sabato, 15 maggio 2021 – n°16/2021
In copertina: i resti del centro di sperimentazione atomica francese in Algeria/Ekker – Foto Sami K.