Ricovero forzato in ospedale per 235 e 202 giorni senza cibo
di Laura Sestini
Attualmente ricoverato in ospedale a Istanbul, l’avvocato Aytaç Ünsal, in sciopero della fame modalità ‘death fast’, ovvero il digiuno illimitato fino alla morte, ha scritto una lettera per richiedere un assistente in corsia. Nella sua lettera, ha annotato che la valutazione sulle sue condizioni di salute, redatta dal medico che gli è stato assegnato dopo il ricovero forzato, trasferito dal carcere di Balikesir (al 202° giorno che non tocca cibo), è ancor meno all’altezza di quella delle guardie carcerarie e degli ufficiali della gendarmeria.
Recentemente, una Commissione di Medicina Legale aveva confermato la non idoneità alla permanenza in carcere, dovuta alla precaria condizione fisica, di Aytaç Ünsal ed Ebru Timtik (al 235° giorno di digiuno) – i due avvocati membri dell’Ufficio Legale del Popolo (Halkın Hukuk Bürosu) e dell’Associazione degli Avvocati Progressisti (Çağdaş Hukukçular Derneği, ÇHD) – a seguito della quale, il tribunale ne aveva stabilito il trasferimento forzato in due diversi ospedali nella città di Istanbul.
“Mi sono svegliato la mattina con una forte stanchezza, avevo dolori in tutto il corpo” – scrive Aytaç Ünsal nella sua memoria – “Ho dovuto dormire con i vestiti che indossavo quando mi sono trascinato sul pavimento e, in seguito, di barella in barella, nel pronto soccorso. Dal pomeriggio, gli ufficiali alla porta della mia stanza in ospedale hanno iniziato a parlare con il loro comandante della mia situazione. Il direttore ha riferito che non riuscivo a camminare, ma uno dei gendarmi ha sentenziato al suo comandante che il mio stato di salute non appariva in una fase molto pericolosa, e ciò che il medico curante responsabile ha detto in seguito mostra in che stato si trovi il sistema sanitario del Paese: ovvero, che ero in grado camminare da solo, non essendo costretto a letto, quindi che non avevo bisogno che qualcuno mi accompagnasse. Per il dottore, ho dovuto contorcermi sul pavimento per ottenere l’aiuto di un assistente. Molto probabilmente, il medico non sapeva nemmeno della mia death fast. Parlava ignaro e, a proposito dei liquidi che dovevano essere preparati per me, senza consapevolezza delle mie reali necessità quotidiane. Stava prendendo una decisione automatica, pensando ad altro tipo di pazienti”.
Moltissimi gli appelli alla scarcerazione per i due avvocati del popolo, che vedono mobilitati sia le organizzazioni europee di avvocati e dei difensori dei diritti civili, sia i loro equivalenti in Turchia; nonostante ciò, la commissione temporanea della 37° Corte d’Assise di Istanbul ha deciso, in contraddizione con il precedente provvedimento e oltrepassando i confini dalla propria autorità, di respingere la richiesta di rilascio, decidendo in alternativa di trasferire gli hunger striker in ospedale per una probabile alimentazione forzata, che metterebbe fortemente in pericolo la loro vita, oltrechè, gli stessi, essere soggetti ad alto rischio di Covid-19, essendo entrambi gli ospedali dedicati ai pazienti positivi al coronavirus.
Il diritto alla vita è garantito dalla Costituzione turca, ma i differenti organi giudiziari che hanno raccolto le richieste di scarcerazione sono in contraddizione tra loro, senza riuscire a trovare una mediazione tra le sentenze emesse e le richieste dei legali dei due detenuti. La stessa madre di Aytaç Ünsal – Nermin Ünsal – è una magistrata a difesa della causa del figlio, ma le autorità governative e la Corte di Cassazione rimangono in silenzio come se tutto l’iter legale fosse regolare.
Ma quali sono i presupposti della detenzione per Aytaç Ünsal ed Ebru Timtik? Nel 2017, insieme ad altri legali dell’Associazione degli Avvocati Progressisti, sono arrestati con l’accusa di appartenere a un’organizzazione terroristica, in quanto vicini agli ideali del Partito Dhkp/C, filo-socialista, considerato illegale in Turchia. Con le stesse accuse erano stati arrestati, poi deceduti a causa del digiuno fino alla morte, nei primi mesi del 2020, Helin Bölek, Mustafa Koçak e Mustafa Koçek, membri del gruppo musicale Yorum, dei quali Aytaç ed Ebru ne erano stati anche i legali.
La decisione di entrare in sciopero della fame a gennaio, divenuto integrale ad aprile, è motivata da ideali di libertà di espressione e ai fini di ottenere dei processi giudiziari equi e trasparenti. L’Associazione degli Avvocati Progressisti della Turchia sposa le cause delle fasce più deboli della popolazione e i numerosi legali arrestati, tutti processati con la medesima accusa di associazione terroristica, sono stati condannati per un totale di 159 anni.
Dal 2016, dopo il presunto colpo di stato turco – secondo un rapporto della ONG The Arrested Lawyer Initiative – risulta che a ora oltre 1.500 avvocati sono stati sottoposti a indagine e 605 già tratti in arresto. Dal 15 luglio 2016 per 345 legali sono state comminate pene complessive per 2.158 anni di carcere, con l’accusa di appartenenza a o propaganda a favore di organizzazioni terroristiche: è questa ormai la modalità degli organi governativi della Repubblica di Turchia per mettere a tacere chiunque abbia una voce fuori dal coro – oppositori politici, intellettuali, artisti che, a decine di migliaia, sovraffollano le carceri turche.
Anche un’altra prigioniera politica turca risulta in sciopero della fame death fast: si tratta di Didem Akmanin, ormai oltre il 190° giorno, condannata all’ergastolo a Sakran (Izmir Aliaga Prison), segregata per 23 ore al giorno in una cella lunga cinque passi. I suoi avvocati erano proprio Ebru Timtik e Aytac Ünsal.
Una vignetta apparsa sui social dei Grup Yorum in questi giorni, esprime in poche parole la realtà dei fatti.
Traduzione dal turco: – Qual’è la richiesta di questi avvocati in sciopero della fame? – Un giusto processo. – Non si può! Se accettassimo, lo vorrebbero tutti.
Lettera di motivazione allo sciopero della fame di Aytaç Ünsal
Volevo parlarvi di me perché penso che vi interessi il motivo che porta un avvocato a fare lo sciopero della fame. Nella mia storia personale sono racchiuse le ragioni per cui un legale ha scelto di incamminarsi verso la morte. Purtroppo è una storia che riguarda in realtà tutti noi. […] Ho avuto la fortuna di avere come madre una magistrata. Essere consapevoli del meccanismo giudiziario sin dall’infanzia è un buon modo per imparare l’importanza dei diritti e della giustizia. Ma ho conosciuto anche l’ingiustizia da bambino: c’erano differenze in classe, c’erano differenze con le persone più povere delle città in cui ho vissuto. […] Quando mi sono trasferito ad Ankara per studiare all’università, la maggior parte degli studenti della facoltà di giurisprudenza erano figli di famiglie benestanti. Erano lontanissimi dalla realtà dei milioni di poveri che avevo conosciuto trasferendomi in molte città della Turchia per motivi di lavoro dei miei. Sapete quando nei film turchi si usa l’espressione ‘persone di un altro mondo’? Erano proprio quelle lì. Le loro giornate e i loro problemi erano troppo diversi da ciò che avevo visto. Non mi sentivo a mio agio e non ero felice. Ero abituato al rapporto con la gente umile: aperto, sincero, caloroso. Da bambino ho imparato a considerare solo ciò che fosse giusto, senza pregiudizi, sapendo ridere e soffrendo con chiunque. All’università cercavo nelle persone i valori dei miei amici di infanzia, ma mi sentivo come se fossero improvvisamente scomparsi. Poi sono entrato in contatto con l’Ufficio legale popolare, e li ho realizzato che quelle persone oneste in realtà erano ovunque. Milioni e milioni: li ho trovati di nuovo, li ho trovati nella resistenza di Cansel Malatyalı a cui ho partecipato. Li ho conosciuti con i lavoratori di Kazova. Li ho visti nella miniera di Kınıklı. Li ho trovati in Didem, mia cara moglie, anche lei avvocata dell’Ufficio legale popolare. Dopo averli trovati di nuovo, non li ho mai lasciati soli. Non ho mai lasciato indietro le persone più vulnerabili. Ho vissuto i momenti più felici della vita mentre difendevo i più deboli nei tribunali. Grazie al mio lavoro di avvocato ho conosciuto il valore della vita e delle singole persone. L’ufficio legale popolare mi ha insegnato la vita in termini reali. […] Ora mi stanno costringendo a rinunciare a tutto questo. Dicono che non puoi difendere gli operai, gli abitanti del villaggio, la gente dell’Anatolia. Dicono che non puoi essere un avvocato presso l’Ufficio legale popolare. Dicono che non puoi vedere Didem per i prossimi dieci anni e mezzo. Stanno cercando di mettere al bando le persone, il paese, il mio amore, la mia professione. Ma queste non sono cose senza valore a cui puoi semplicemente rinunciare. Non è abbastanza semplice dire: “Beh, non c’è niente da fare.” Io non rinuncerò mai alla mia gente, all’Anatolia, che mi ha insegnato la vita, che mi ha reso umano con il suo sforzo. Morirò ma non mi arrenderò. Questa è la storia del mio viaggio. Resisterò alla morte come Mustafa Koçak e come İbrahim Gökçek che è morto pesando 30 chili. Fanno parte della mia famiglia già da quando eravamo bambini. Io sono stato loro avvocato fin dall’infanzia. Morirò, ma non smetterò mai di difenderli!
Aytaç Ünsal
In copertina: Ebru Timtik (a sinistra) e Aytaç Ünsal (a destra). Foto tratta da Yeni Yaşam Gazetesi.
Per approfondire:
Grazie.
Buon lavoro