Dalla guerra nei Balcani all’impegno sociale e politico in Italia – parte prima.
di Laura Sestini
Per raccontare il mio ricordo di Vesna Šćepanović – conosciuta a Firenze nell’inverno del 1993 – ci vorrebbe un articolo a parte. Invece riporterò solo due righe di sintesi, ed il resto degli ultimi 30 anni della sua vita – che io conosco attraverso le sue risposte, per la prima volta qui con voi lettori – lo lascio a lei, con sue parole, lo scavo nei ricordi, i sentimenti, i dolori e le vittorie.
Laura Sestini: “Ebbene, con Vesna ci siamo conosciute un sacco di tempo fa. Entrambe eravamo molto giovani e il destino ci riservò di lavorare insieme per qualche mese in un bar frequentato la sera da chiassosi giovani come noi, in Via Aretina a Firenze. Quel bar adesso non esiste più da anni: si chiamava Cassiopea. Vesna fu assunta come barista che io ero già lì: lavoravo per risparmiare dei soldi per un viaggio, mentre i nostri coetanei la sera riempivano il locale per passare il tempo. Vesna parlava l’italiano ma non troppo. Era bellissima. Cosa aveva di diverso da me e da tutti i giovani che frequentavano il bar per giocare con i giochi da tavolo tanto di moda all’epoca? Era appena scappata dall’inferno della guerra nei Balcani, ma faceva finta di nulla, almeno così pareva a me. Poi cambiai lavoro e ci siamo perse di vista – definitivamente per quasi 30 anni. In realtà non mi raccontò molto della tragedia che si compiva al di là del Mar Adriatico – complice anche la lingua – di ciò che aveva visto; ed io ero ancora troppo nel mondo delle nuvole per capire di conflitti armati, conflitti etnici, e violenza. Una sola frase, della sua frammentata cronaca dei fatti, mi sono portata dentro in questi tutti anni: “Stuprano tutte le donne”. Mi colpì così tanto che non l’ho mai dimenticata, la frase, ma anche lei come persona. Tante volte ho tentato la ricerca, ma non ricordavo più il cognome. Finalmente nel 2021 l’ho ‘rintracciata’ e non mi sarei mai immaginata che nonostante la fine della guerra fosse rimasta in Italia. Il resto lo lasciamo a lei.”
Lei è giornalista e drammaturga. In ambito giornalistico di cosa si occupa?
Vesna Šćepanović: – “Si può dire che, tra tanti mestieri che mi sono capitati, ho praticato il giornalismo e le attività teatrali più a lungo, teoricamente mi sono preparata per il lavoro giornalistico, ma la vita mi ha portato a leggere e recitare nei teatri, soprattutto nelle scuole, nelle piazze, nelle biblioteche, nel mondo dell’associazionismo. Mi sono formata praticando il teatro in due compagnie torinesi. Ho cercato di fare interagire questi due linguaggi, di mettere insieme le conoscenze acquisite di queste due attività. Oggi sono i miei strumenti di lavoro e di attivismo culturale. Dopo gli studi universitari, nel 1989, in Scienze politiche a Belgrado, sono stata impegnata a Podgorica e a Sarajevo e in questi quasi ultimi tre decenni, a Torino. Plurime attività che ho sperimentato si collocano nell’ ambito sociale e culturale e a queste aggiungo alcuni anni di lavoro presso gli Istituti penitenziari, una intensa formazione teatrale e interculturale nelle scuole o le collaborazioni nei progetti di cooperazione internazionale, in Italia e nei Balcani. Le prime esperienze giornalistiche le ho intraprese nel mio paese natio nel 1990, in Jugoslavia, oggi inesistente e scomparso dalle mappe. Ho collaborato all’epoca in diverse testate: Radio nazionale Montenegro, il settimanale Monitor, Liberal ed infine presso la televisione indipendente Yutel, con sede a Sarajevo, che considero il periodo più interessante e più formativo dal punto di vista giornalistico; la programmazione era antinazionalista e antiguerra, l’unica nel suo genere, di vita breve purtroppo, perché nel ’92 iniziò l’assedio di Sarajevo. Inoltre ho collaborato nei movimenti contro la guerra e contro i nazionalismi degli anni ’90 in Montenegro.
Arrivata in Italia, ho avuto la fortuna di conoscere – nel 1994 – un gruppo di pacifisti e studiosi, studenti che scrivevano e traducevano gli articoli dalle varie lingue europee per comporre Balcan Sud, un giornale trimestrale fondato da Claudio Canal: una rivista indipendente e autofinanziata che offriva ai lettori le informazioni non solo sui drammatici anni ‘90 nella ex Jugoslavia, ma partendo dalla ricchezza delle lingue, culture, sguardi plurimi, le visioni letterarie e pacifiste; il lettore poteva leggervi le pagine sulle societa’ in trasformazione e non invece sull’unica realtà legata alla guerra e ai conflitti. I Balcani sono molto più grandi e plurimi di come si immaginano in Italia. Non sono composti solo dai paesi ex jugoslavi, solamente dalla lingua serbo croata bosniaca. E’ un arcipelago di tante mescolanze e modi di essere, ricchezze, intrecci, storie collettive, anche di venti tragici della storia. Purtroppo i governi locali e la parte della popolazione non hanno saputo riconoscere questi valori di convivenza e l’antifascismo come i valori da custodire. Le destre xenofobe e nazionaliste per ora hanno distrutto tutto il tessuto sociale, ricuciono la storia della resistenza nel 41-45 e la convivenza per come gli conviene per rimanere al potere.
In Italia ho collaborato nel progetto radiofonico ‘Babalasala’, sui temi che riguardano il fenomeno migratorio: ospitati da Radio popolare di Torino, siamo stati una redazione di giornalisti e collaboratori italiani e internazionali. Sono stati anni interessanti dal punto di vista formativo e della conoscenza più approfondita della città dal punto di vista culturale, delle tematiche migratorie e del notevole associazionismo torinese, oggi in difficoltà. In questi circa trent’ anni torinesi ho continuato collaborare saltuariamente con il settimanale Monitor di Podgorica, raccontando i temi di attualità culturale e politica italiana. Con il gruppo di giornalisti torinesi di diverse provenienze, abbiamo fondato e curato per qualche anno il giornale GLOB 011, scrivendo sulla città di Torino, sui cambiamenti sociali dovuti alla migrazione e sul mondo che meglio conoscevamo: Algeria, Turchia, America Latina, Balcani.
Non è stato semplice e non lo è neanche oggi. La lingua – l’Italiano – la mia seconda lingua, diventata la prima con cui vivo tutti i giorni e lavoro, si è trasformata ora nella mia lingua prediletta a tutti gli effetti, ma rimane sempre uno scoglio, scivoloso e una vetta irraggiungibile. Nello stesso tempo affascinante, bella, ardua, che involontariamente si mescola con le cadenze e regole della lingua slava. Ogni giorno faccio i conti con i miei limiti linguistici, ma questo mi obbliga almeno nell’ ambito della scrittura ad un esercizio costante, anche se mai soddisfacente”.
Parallelamente alla professione giornalistica lei scrive testi teatrali. Quali sono le tematiche a cui si sente più vicina? E perché testi drammaturgici, invece di saggi come pubblicano abitualmente i giornalisti di tutto il mondo?
Il lavoro teatrale nasce con l’Associazione interculturale delle donne Alma teatro/Alma Mater, fondato nel 1993. Inizia come un gioco, un laboratorio e si trasforma poco dopo nelle esperienze di lavoro e di recitazione. Diventato per almeno 15-20 anni un lavoro vero e proprio, anche se con molte difficoltà’.
Collaboro con la Compagnia delle donne Alma teatro da più di 25 anni e le attività teatrali sono state per me sempre esercizio, formazione, responsabilità di stare in scena, studio della lingua soprattutto, studio, strumento di lavoro, il luogo per narrarsi, scambio con le compagne del gruppo che provenivano da Perù, Colombia, Somalia, Etiopia, Argentina, Nigeria, varie regioni italiane, gioco. Nei primi anni recitavamo in italiano, mescolandolo l’italiano con le nostre lingue d’origine o con i dialetti italiani. Siamo state la prima compagnia teatrale e internazionale femminile in Italia.
Sono stati gli anni di una certa dinamicità torinese, non era cosi usuale vedere tante donne in scena a recitare in lingue “altre” e in italiano. Cosi sono nati più di 30 spettacoli: i più curiosi possono consultare il sito di Almateatro.
Portavamo in giro i nostri corpi e i nostri pensieri, scrivevamo e recitavamo del nostro contesto di vita nella diaspora, delle nostre multiple città che ci appartenevano, denunciando le ingiustizie giuridiche, la violenza talvolta; narravamo le fiabe nelle scuole e avvicinavamo le nostre diverse letterature e le autrici; scrivevamo della guerra, dei conflitti, dei luoghi nativi, delle madri, ma anche della lotta e della determinazione delle donne nel mondo. Più avanti componevamo le opere sul divario Sud-Nord, parlavamo delle generazioni nuove che nascevano nel nostro Paese, cittadini futuri di plurime identità che possiedono più lingue. Eravamo colme dei sogni e dei desideri di trasformare il mondo e creare un luogo più giusto per le donne. Questo è stato in parte il lavoro in Alma teatro, con tutte le nostre difficoltà e i nostri bagagli culturali. In teatro ho soprattutto recitato, organizzato le iniziative teatrali e culturali, pensato agli scambi con le Compagnie degli altri paesi, ideato progetti, ed ho scritto a volte, scegliendo le tematiche che mi appassionavano, ho curato reading. Sul fondo rimangono sempre il libero pensiero delle donne, le poetiche politiche e le relazioni… I conflitti e le resistenze delle donne in diverse società. Rimane l’arte come l’unica possibilità, come lo strumento e come modo per non soccombere, per salvare un granello di libertà, per salvare quel che resta del mondo e della sua autodistruzione. Ogni passo per la passione di costruire le trame con gli altri. Come dice poeta Mahmud Darwich “Magari fossi una candela in mezzo al buio”
Non mi considero una drammaturga – forse qualche volta; ma prevalentemente prendo in prestito i testi già scritti per il teatro o di letterature altre, anche di saggistica delle donne. Rimane sempre il pensiero femminista, desiderio di pace, lotte delle donne, di chi scrive, dipinge le complessità, delle minoranze, un mondo senza le emarginazioni, contro le forme plurime di razzismo e sessismo, contro le violenze trasversali e sistemiche. Mi viene in mente la poeta italiana Patrizia Cavalli che sostiene: ”le mie poesie non cambieranno il mondo”. Credo nelle relazioni che si tessono intorno certi temi poetici e storici. A volte desidero scrivere un saggio sull’Italia e sul mio ex paese, dei miei luoghi di infanzia e della gioventù; rimane il progetto degli intrecci che forse un giorno potrà lievitare .
Gli anni di pandemia sono stati il tempo della sospensione, della morte, delle fragilità; anche un tempo rallentato in cui in tanti sono riusciti scrivere e documentare l’epoca complessa che stiamo vivendo.
A volte scrivo in madrelingua – che si è impoverita in questi trenta anni – e cartoline dall’Italia, analisi politiche, colonne culturali, microreportage, interviste sull’Italia.
Lei, in Piemonte – regione in cui vive – organizza anche eventi culturali un po’ ‘diversi’, come la presentazione di autori e testi di origine balcanica. Con quale motivazione?
Ho vissuto ad Alba Adriatica, a Firenze il primo anno, e a Torino dal 1994.
Ho voluto tentare una continuità nella mia vita rispetto i desideri e rispetto quello che è stato la mia professione nel bene e nel male, la mia passione giornalistica prima della vita in Italia. A volte, poi però si cambia, è cambiato il Paese, la lingua; è cambiato anche il lavoro, o forse solo il linguaggio di lavoro. Soprattutto i primi anni la questione della lingua mi ha creato frustrazioni, ho compiuto vari mestieri per circa 3 anni, ed è stato divertente in ogni caso. Il mio amore per l’Italia e le sue città è infinito, non posso sentirmi che felice di aver conosciuto questo Paese, nonostante i meandri di vita, i dolori, abbandoni dei cari, migrazioni, sradicamento, la guerra..
Nei miei anni torinesi, per 25 anni, sono riuscita organizzare con gli altri numerosi incontri, serate, corsi di teatro, presentazioni di libri, serate di approfondimento rispetto il contesto jugoslavo, riflessioni sulla migrazione, diversi progetti letterari e femministi.
L’editoria italiana negli ultimi 30 anni, rispetto ai Balcani, è stata generosa; ha tradotto diversi testi e mi ha permesso di narrare diversi libri e leggere gli autori, le autrici, qui meno noti.
In compagnia degli autori balcanici noti negli ambiti internazionali, studiosi torinesi, giornalisti e lettori curiosi dell’altra sponda del Mare Adriatico, sono passati mesi e anni per conoscere e per condividere i versi e i ragionamenti sulla geografia cosi vicina all’italia, ma che a volte risulta lontana e tanto differente. Attualmente faccio formazione per scambi teatrali tra le scuole dei diversi paesi europei e Per il Circolo dei lettori di Torino sto realizzando, come co-conduttrice dei gruppi di lettura, il progetto ” Narare il mondo partendo dalle scrittrici dell’africa subsahariana”. Non è facile identificare cosa è precisamente la letteratura dei contesti africani, è un mondo plurimo e variato, di tante lingue e tante storie, molte scrittrici abitano in più città perché pubblicano in molti paesi diversi…Quindi sono le scrittrici del MONDO a tutti gli effetti.
Partendo dalle diverse lingue che si parlano in Africa, le traduzioni in italiano derivano soprattutto dalle lingue coloniali come francese inglese, italiano, tedesco, portoghese – le mille lingue locali in cui a volte sono scritti ottimi romanzi. E’ interessante e arricchente conoscere gli sguardi sul mondo delle scrittrici nate in Africa subsahariana e cerchiamo di ricercare e leggere i nomi “minori” meno conosciuti perchè sono spesso ‘tesori nascosti’. La ‘Grande letteratura’ a volte si nasconde nei paesi piccoli o emarginati – o poveri – o nei paesi di guerra, e vorrei rimanere una lettrice attenta in ascolto dei ‘suoni del mondo’, che hanno una marcia differente; osservando il Mondo dalla posizione marginale si vede meglio – diceva qualcuno. Sono veri romanzi di formazione, coloniali e post coloniali, di canto delle donne e di narrativa eccellente, come per esempio il romanzo ‘Re Ombra’ di Maaza Mengiste, sempre interessanti per trama, stile, forma o lingua poetica di narrazione.
Porto avanti anche laboratori di letteratura del mio Paese natio e la lingua, l’unica ‘casa’ che mi è rimasta ancora dei luoghi in cui sono nata – oltre le relazioni. Mi viene in mente Pavese: “Un paese ci vuole se non per altro per la voglia di tornare”. Quello sguardo sul mondo cosmopolita e mitteleuropeo che alcuni letterati jugoslavi sapevano offrirci vorrei custodirli nella memoria, salvarli dalla dimenticanza, condividerli con lettori curiosi. Quell’epoca sta scomparendo dai libri di storia, dalle antologie. Nei tempi delle trombe di guerra jugoslava sentivo la necessità profonda e la passione di trasmettere le pagine della letteratura jugoslava, versi, poesie, insieme ai gruppi teatrali torinesi. Sono stati anni di grandi amicizie, scambio, studio della storia italiana. I primi 30 anni sono passati in fretta e con grande intensità.
Virginia Woolf scriveva ” in quanto donna non ho patria, in quanto donna non voglio patria nessuna, in quanto donna il mio paese è il mondo intero”. Ecco questo è il motto che mi guida e che scelgo… Volevo fare confluire i miei due mondi, farli conoscere e farli comunicare, sentivo che sarebbe stato possibile. Tra le diatribe politiche tra i miei due paesi, italiano e jugoslavo, all’epoca della seconda guerra mondiale e poco dopo, vivevano poeti straordinari che cantavano il mondo libero che creavano insieme i Festival, traducevano libri e sognavano un mondo senza la guerra. E sono tanti per fortuna, come Sarajlic, Kis, Krleza, Drakulic, Ugresic, Selimovic, Andric, Matvejevic, Durakovic; la lista è lunga, le case editrici sono numerose che si sono impegnate a colmare un vuoto.
Nota dell’autore: L’intervista – senza esserne in principio consapevoli – è divenuta un testo troppo impegnativo per rientrare nelle lunghezze medie giornalistiche, quindi di comune accordo con Vesna, abbiamo deciso di suddividerla in due episodi. Nel secondo – che uscirà con il numero 9/2022 del 26 febbraio – Vesna Šćepanović ci parlerà della sua esperienza di guerra, vissuta da ragazza ventenne, cittadina del Montenegro – sua nazione di nascita.
Seconda parte dell’intervista: https://www.theblackcoffee.eu/vesna-scepanovic-2/
Sabato, 19 febbraio 2022 – n° 8/2022
In copertina: Vesna Šćepanović durante un reading – Foto: courtesy Vesna Šćepanović